martedì 29 marzo 2011

Le "bestie" del calcio (da Max) 2/5


2. VINNIE JONES

Oggi fa l’attore, ma nella vita precedente era già una “bestia” da Oscar. Detentore di un imbattibile record (un’espulsione dopo tre secondi), Vinnie è un’icona dell’iconografia sportiva, grazie alla foto in cui strizza gli zebedei a un altro bel soggetto, Paul Gascoigne. Negli spogliatoi, Gazza provò il contropiede portandogli un mazzo di rose, ma Vinnie, con l’ennesimo colpo di reni, ebbe la meglio e gli offrì lo spazzolone del water. Gioco, partita, incontro, ovazione.

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domenica 27 marzo 2011

Le "bestie" del calcio (da Max) 1/5

Sul rettangolo verde essere “bestie” ha mille accezioni. Ci sono i magnifici perfidi (alla Omar Sivori), i ringhianti che esaltano squadra e curve (alla Claudio Gentile o Pietro Vierchowod), gli scarponi storici (alla Egidio Calloni o Marco Pacione).

A noi, però, piacciono le “bestie” incrociate con il gene della follia. Agonistica, ma non solo. Senza passare dal celebre Pasquale “O’ Animale” Bruno (uno che, comunque, non accetta la parola pensione: “Se ai miei tempi ci fosse stato il daspo, l’avrei preso di sicuro”, s’è vantato di recente) o dal solito “O’ Animal” Edmundo, abbiamo provato a stilare la nostra top five delle “bestie” del calcio recente. Indossate l’elmetto.




1. ANDONI GOIKOETXEA

Padre di tutti i terroristi coi tacchetti, il “Macellaio di Bilbao” è passato alla storia per aver cercato di privarci del genio di Diego Armando Maradona. Il 24 settembre 1983, sotto 3-0 in un Barça – Athletic, non risparmiò un tackle killer sulla caviglia del fuoriclasse, che da allora perse il 30 per cento della funzionalità. La fedina penale del basco comprende anche un altro grande, Bernd Schuster, costretto da una sua entrata a otto mesi di stop e a due delicate operazioni al ginocchio destro. Inarrivabile.

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giovedì 24 marzo 2011

Zizou, Pavel, avete impegni per domenica?


Guardate questa foto di ieri sera all'Olimpico, per il derby benefico per la lotta alla Sla organizzato dalla fondazione di Vialli e Mauro. Rappresenta il concretamento di ogni sogno bianconero: Zizou e Pavel insieme. La storia invece racconta che si sono solo sfiorati, il franco-algerino è volato a Madrid proprio per lasciare i posto al ceco.

In curva è comparso lo striscione: "Avete impegni per domenica?". Signori, inutile ironizzare, quei due si sono ritirati troppo presto e in questa Juve farebbero ancora la loro porca figura. Sono entrambi del 1972 (Alex a cui rinnoveranno il contratto è del 1974), ma fisicamente sono ancora tirati a lucido.

Anzi, sognando a occhi aperti, magari con un pizzico di malizia promozionale e di marketing, mi chiedo: sarebbe davvero una follia chiedere a tutti e due di tornare in rosa il prossimo anno, quello dell'inaugurazione del nuovo Delle Alpi? Considerato che nella loro zona di campo ora razzolano i Melo, i Martinez, i Pepe, di certo non siederebbero sempre in panchina. Poi dalla stagione successiva, entrambi alla scrivania in Corso Galileo Ferraris (meglio: a Vinovo).

Sarebbero le persone giuste per far passare quella mentalità vincente che oggi nello spogliatoio langue e che ritorno d'immagine se ne ricaverebbe! Tutto il mondo tornerebbe a parlare della Juve. Gli sponsor, che ora nicchiano, si accalcherebbero per esserci.

Un guizzo di fantasia, uno sprazzo di lucida follia. Nella Juve dei ragionieri e dei notai di oggi, una scheggia di creatività che farebbe tanto bene.

Zizou, Pavel, avete impegni per le prossime domeniche?

lunedì 21 marzo 2011

Il Capitano non si tocca. Ma solo a Roma, purtroppo (A-Team su LaStampa.it)


Dopo i gol di questa domenica si sprecano i parallelismi tra Alex Del Piero e Francesco Totti, i due grandi e inimitabili vecchi del calcio italiano. Carriere parallele, dai gol agli spot televisivi, hanno effettivamente accomunato due monumenti, reduci di un modo di interpretare lo sport che con grande probabilità non vedremo mai più.

Un dato però non è stato sottolineato ed è quello che ha differenziato in modo profondo la loro carriera. La Roma giallorossa ha un solo, vero credo che si riassume in un brocardo che potrebbe essere inciso nello stemma societario: “er Capitano nun se discute, se ama”. Questo vale per tutti e chi prova a tradire il sentimento, chieda a Claudio Ranieri quel che succede.

Il nostro, invece, il Capitano vero, è sempre discusso. Una carriera sotto esame. Per quel che ricordo, è da quel maledetto infortunio di Udine del 1998, che i dubbi su di lui ritornano ciclicamente. Io stesso, in tempi passati, mi son schierato apertamente con coloro che temevano che Alex potesse diventare un tappo sulle nuove generazioni di campioni. La sua presenza è spesso vissuta come ingombrante e, temo, non soltanto in campo.

Anche perché è un uomo intelligente e chi usa il cervello bene quanto i piedi da fuoriclasse dà fastidio. L’ultimo caso è rappresentato dal video della “firma in bianco”, che ha fatto arricciare più di un naso in Società, ma che è stato uno splendido grimaldello per scardinare una situazione di empasse.

Da Capello al solito Ranieri, per arrivare addirittura a Delneri, una pletora di allenatori non ha riconosciuto a Torino quel che è un dato di fatto a Roma: e il Capitano l’hanno discusso, eccome. Se devi sceglierne due tra Del Piero, Zidane e Inzaghi, si può ben capire che un Alex non in forma finisca in panchina, ma riesce difficile darsi una spiegazione se l’alternativa sono Iaquinta, Pepe o Toni.

In questa Juve Del Piero dovrebbe uscire dal campo soltanto quando lo decide lui, invece l’allenatore ci informa che “gioca, perché adesso sta bene”. Altrimenti, ne deduciamo, giocherebbe Martinez?

Eddai, un conto è non amarlo, un conto è pure discuterlo, il Capitano, un altro è però vivere su un pianeta dove il pallone è quadrato.

P.S. E, a proposito di palloni quadrati, desidero chiedervi un aiuto psicologico. Sto davvero dando fuori di matto e sono solo io a pensare che Giorgio Chiellini, piantato lì in mezzo all’area, sia una tassa che non siamo più in grado di pagare? Perché, se è così, vado a farmi vedere da uno bravo.

Ma, se tanto folle non sono e la visione è condivisa, organizziamoci: che so, firmiamo una petizione per rimetterlo sulla fascia. Cuore, grinta, voglia ne ha da vendere, ma la foga gli fa sbagliare tutti i movimenti. La situazione critica di Gigi Buffon, che non capisce più che cosa gli sta per combinare la difesa, è dovuta per la maggior parte proprio alla perdita della bussola di Giorgione. Se gli vogliamo bene, salviamolo da se stesso.

giovedì 17 marzo 2011

Auguri, italiani!

Dalla Nazionale più bella (anche più di quella del 1982, neanche da paragonare con quella del 2006).



E dall'inno più toccante che mi sia mai capitato di ascoltare in uno stadio.


lunedì 14 marzo 2011

Lotito, dov'eri?


E' il 12 dicembre 2009, 16° giornata dello scorso campionato. Al 23' del secondo tempo, sul 2-1 per il Bari, rigore per la Juve: Diego va sul dischetto, ma un laser lo acceca e sbaglia. Finirà 3-1. Poi seguirà la sconfitta casalinga col Catania.

Quello fu il momento decisivo per la debacle di Ferrara, ma nessuno si sentì in dovere di fiatare. Né in Lega, né sui giornali. Ora invece ci tocca ascoltare che c'è chi farà ricorso, perché ha in porta il portiere più scarso d'Europa. E c'è pure chi gli dà retta.

sabato 12 marzo 2011

La Juve del futuro non può avere confini (A-Team su La Stampa.it)

Non è un buon segno, a metà marzo, ma sono psicologicamente già proiettato sulla prossima stagione. Perciò stasera non mi dilungherò in disquisizioni su lunari sostituzioni, su rossi non dati e rossi dati per compensazione, assenze di qualità base, come la capacità di congelare un vantaggio di due gol.

No, molto meglio cominciare a costruire il futuro, pertanto mi rivolgo al prossimo allenatore (ecco, sul quando dovrebbe arrivare avrei pure desiderio di dilungarmi, ma mi trattengo, per non scadere nel disfattismo, tipo commentare un uomo di calcio capace di sostenere, e non è uno scherzo di Carnevale, che “Abbiamo scelto la qualità con Del Piero, Aquilani... Traoré e Motta”!).

Anche sulla scorta del mercato di gennaio, la società sembra intenzionata a proseguire sulla scia dell’italianità che ha contraddistinto molta della nostra storia. So che nella settimana delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità, mi attirerò gli strali dei patrioti del pallone, ma credo che anche questa impostazione sia figlia di un passatismo che si sta dimostrando autolesionista.

Voglio dire, va bene nel 1977 (quando vincemmo la Uefa, regalando al Paese la prima coppa europea conquistata da un undici tutto nostrano: giocoforza, visto che le frontiere erano chiuse), nel 2011 però puzza non solo di autarchia, ma ben peggio di incapacità di avere una visione globale, di raffrontarsi con operatori di prima fascia, di intrecciare e gestire contatti al più alto livello.

In un mercato (e non mi riferisco soltanto a quello pallonaro, ovviamente) dove il “global” sta inghiottendo il “local”, una società che vuole giocare un ruolo vincente deve sciogliere i vincoli territoriali. Senza disturbare la Fiat e la sua deriva statunitense, che pure in casa Exor potrebbe essere un interessante “benchmark”, è evidente che basare l’arruolamento di campioni su base locale non paga.

Tanto per restare sul pratico, in settimana i colleghi inglesi di FourFourTwo, il più autorevole magazine di calcio, mi hanno chiesto di suggerire loro alcuni nomi di campioni under 20 italiani, per uno speciale sulle giovani eccellenze mondiali. A loro erano sovvenuti, con estremo sforzo di fantasia, i soli nomi di Balotelli, Santon, Macheda e Destro. Giusto per non fare la figura di chi non ha nulla da dire, mi sono sentito in dovere di aggiungere Paloschi.

Lasciate perdere i Marrone o gli Immobile, gli amici inglesi stanno facendo uno speciale con atleti già al top: scusateli, è gente abituata a non guardare la carta d’identità e se uno è un campione, lo è a 18 anni come a 37. E, secondo me, tra gli italiani under 20 obiettivamente possiamo annoverare il solo Balotelli.

Quindi, bisogna attrezzarsi da subito per la stagione ventura e cominciare a scandagliare i mercati sparsi per tutto il pianeta. Magari risparmiando sui Martinez e investendo su osservatori con gli occhi attenti e le orecchie ritte.

P.S.: A-Team si associa al cordoglio per l’immane tragedia giapponese. Parlare di calcio in certi momenti appare davvero una forzatura.

lunedì 7 marzo 2011

La vera sconfitta è non aver scacciato il fantasma di Moggi

Il vostro progetto? Meno 20 dal Milan, recitava il sarcastico striscione nello spicchio rossonero dell’Olimpico. In effetti, la cruda aritmetica fa rabbrividire, considerando che mancano ancora dieci partite. Ma è la parola “progetto” il focus dello sfottò. La scorsa gestione lo si pronunciava alla francese, la presente con la nobile inflessione torinese della Real Casa, ma per tutta Italia è un triste inno alla disfatta bianconera.

In questi giorni, una larga fetta degli juventini più accesi sembra essere più interessata a quello che succede nelle aule del Tribunale di Napoli, che di quello che succede a Vinovo e dintorni. Tifosi che discettano di codici e codicilli come, in altri tempi, di cartellini e fuorigioco. S’appassionano di arringhe e testimonianze, quando un giorno si accaloravano per le punizioni a giro o i dribbling sulla fascia.

Io stesso ricevo molte più mail di commenti feroci sul Pm Narducci, che non di arrabbiature per una stagione che riesce a essere peggiore di quella scorsa, che credevamo rappresentasse il fondo.

Al di là dell’attuale settimo posto e di una campagna acquisti disastrosa, il fallimento più grande del “progetto” di ricostruzione dal 2006 a oggi è proprio questo: essersi dimostrati incapaci di far dimenticare il passato, di girare pagina. Di impedire di credere che l’attuale situazione sia il cascame diretto della rivoluzione di Calciopoli, di non lasciare il campo ai complottisti, che nei disastri sguazzano come i lucci nelle acque gelate.

È ben vero che la luce del 2006 si riflette sul presente: una squadra di grandezza mondiale fu disgregata e gettata alle ortiche, con un processo che lasciò colpevolmente troppe ombre, sia per come venne gestita l’accusa sia per come venne sostenuta la difesa. Ma cinque anni di lavoro, con investimenti da “sesta squadra in Europa” (definizione presidenziale), dovevano portare se non scudetti o coppe, certamente all’obiettivo minimo: disinnescare Moggi.

Perché è assurdo che una larga fetta di tifoseria bianconera sia ancora in attesa di sapere se verrà radiato o meno, nella speranza di un suo impossibile reintegro nei ranghi dirigenziali. Quanto meno per ragioni anagrafiche: Luciano Moggi va per i 74 anni, può essere lui il futuro?

Ecco vera cartina tornasole della sconfitta sia del duo Blanc - Cobolli Gigli (e di chi li aveva messi alla guida di una società di calcio, senza il benché minimo curriculum), sia dell’attuale dirigenza, che ha alimentato troppe illusioni la scorsa estate e, probabilmente, con un presidente con un cognome più grande delle effettive possibilità di manovra.

Ora, francamente, attendere con trepidazione il risultato di un processo per sapere le sorti di un ultra-settantenne regala una dimensione molto italiana al “progetto”, ma lascia anche molto disagio in un paese che sembra non dar chance ai giovani.

Pensare che Luciano Moggi, alla veneranda età di 74 anni, non possa andare a vedere Juve-Milan “per non mettere in difficoltà nessuno, perché i tifosi avrebbero pensato più ad invocare il mio nome che a sostenere l’attuale dirigenza e squadra” (ipse dixit), è una fotografia triste. Della Juve e del Paese.

sabato 5 marzo 2011

Se è il portiere avversario a non fare la doccia (A-Team su LaStampa.it)

Andrea Agnelli dopo Lecce si lamentò che i suoi giocatori avrebbero potuto non fare la doccia, dal niente che avevano sudato. Chissà se Galliani si lamenterà che questa sera non si laverà Abbiati.

In settimana avevo scherzato, chiedendo se una sconfitta che avrebbe allontanato l’Inter sarebbe stata indolore. Possiamo dirlo: non esistono sconfitte che non lasciano segni. Soprattutto se si parla della terza a fila, dopo il Lecce e il Bologna.

La curva, sdegnosamente, ha scritto su un doloroso striscione, che a questa squadra riserva soltanto indifferenza. Non ci credo. Qui si sta precipitando verso il punto più basso della storia bianconera dal dopoguerra a oggi, inutile girarci in giro. E non si vede la benché minima luce in fondo al tunnel. Se poi ci segna pure Gattuso, il cerchio è definitivamente chiuso.

Alla lettura delle formazioni sono rabbrividito: la catena di sinistra del benedetto 4-4-2 delneriano era formata da Traoré e Martinez. L’avessi letta nel Bari l’avrei ritenuta appena sufficiente per una decorosa retrocessione.

Durante la partita, mentre il Milan faceva il minimo sforzo per non farcela vedere, pensavo ai tempi andati, dai più remoti ai più vicini. Quando, nei match storti, veniva spontaneo pensare: “datela a Causio”, “a Platini”, “a Baggio”, “a Del Piero”, “a Zidane”. Insomma, mettetela in cassaforte, poi succeda quel che succeda.

Stasera non mi venivano nomi. A chi si poteva darla? A Melo? A Martinez? A Krasic? A Chiellini?
Poi vedevo andare a battere le punizioni dal limite i Melo, i Traoré, i Pincopallo e il Capitano languire in panchina. Che altro si può aggiungere? Quando si naviga nella mestizia, l’unica consolazione è attaccarsi all’unico salvagente: abbiamo fatto 41 punti e dovremmo esser salvi.

mercoledì 2 marzo 2011

Juve - Milan, oh, nooo



Sabato s’avvicina e montano i dubbi. Tifare sempre e comunque, incondizionatamente Juve o, sotto sotto, lasciarsi vincere dalla tentazione di regalare i tre punti al Milan?

L’ateo calcistico si chiederà, ma costui farnetica? L’ortodosso fanatico, invece, capisce bene. E, infatti, il subdolo desiderio serpeggia tra gli ultrà più accesi, anche sul mio blog su La Stampa: piuttosto che avvantaggiare la rincorsa dell’Inter, concediamoci l’ennesima sconfitta. Tanto, quest’anno, una più o una meno.

Francamente, io sto lottando strenuamente contro questa tentazione. Quanto ho detestato, lo scorso anno, il beffardo striscione: “Oh, nooo”, esposto dai laziali, mentre regalavano la partita all’Inter, pur di non far vincere lo scudetto alla Roma?

Un atto di viltà sportiva urticante. Pensare che mi possa ridurre come quelli che esultarono per un gol nella propria porta è deprimente.

Ma mi deprimerebbe anche constatare che ormai la Juve gioca bene soltanto le partite con l’Inter e col Milan, come una provinciale qualsiasi.

Oddio, sto entrando in loop. Speriamo che sabato arrivi presto!

martedì 1 marzo 2011