mercoledì 30 gennaio 2013

La coppa e l'uva

Uscire da una coppa in un modo tanto balordo fa girare la testa. Ora sento dire dalla volpe che l’uva è acerba e che la Coppa Italia, in fondo, è un obiettivo minore. Balle. Soprattutto se la Roma si fregerà, prima nell’italica storia, della stellina d’argento della Decima.

Ma al di là di questi sterili discorsi da tifoso, gli ultimi cinque minuti dell’Olimpico parlano chiaro di una Juve in grave involuzione mentale. Se segni al 91’ hai il dovere di arrivare almeno ai supplementari. Se invece becchi due minuti dopo da un calcio d’angolo vuol dire che hai mollato. E i grandi non mollano mai.

Peggio ancora se, dopo aver subito il colpo del k.o., hai ancora la forza e la fortuna di costruire un’altra colossale occasione e la butti alle ortiche due volte. Questione di testa. E di caratura tecnica. Non stiamo a fantasticare su che cosa avrebbe fatto Del Piero al posto di Giovinco, perché, tanto, lì non c’era Alex, ma Seba. Il quale ormai è acclarato che non è un grande giocatore, e non parlo dell’altezza.

Mi spiace davvero doverlo dire, ma non ho più speranze di vederlo sbocciare. A 26 anni o sei dentro o sei fuori. Considerazione mesta, alla luce dell’arrivo di Mario Balotelli al Milan. Un colpo di mercato da togliersi il cappello (al di là di ogni considerazione elettorale), di quelli che dalle nostre parti non se ne vedono da lustri. Uno così sposta gli equilibri: Giovinco, Bendtner o Anelka no.

A Roma abbiamo visto una Juve sterile come di rado ultimamente. Troppi muscoli e polmoni e pochi piedi buoni a centrocampo e troppa svagatezza davanti. Se la definizione top player è troppo sofisticata, usiamone pure una più cacio e pepe: uno che la sbatte dentro.

domenica 27 gennaio 2013

Il rigore pesa, ma anche le assenze

Hai voglia a cercare di astrarti dall’episodio. Di trovare una via coerente e razionale di commento, magari anche di critica verso una Juve svogliata, prevedibile e sprecona. Ma è uno sforzo troppo grande e, probabilmente, ingiusto, oltre che ingenuo.

Il fallo di Grandqvist è colossale, il tipico tocco di mano, che rappresenta tutto ciò che non si può fare giocando a calcio: entrare scomposti, cercare la palla come capita e infine impedire all’avversario di giocare usando le mani (giusto dietro il giocatore genoano c’era Vucinic solo soletto).

Esercizio di stile: se un’entrata del genere fosse stata fatta a centrocampo, il signor Guida da Torre Annunziata avrebbe fischiato? Data la domanda, lascio a voi la risposta. Poi, se avete tempo, rispondete anche all’altra domanda, quelli che ci siamo fatti tutti: a parte invertite che cosa avremmo letto e sentito? Ora tocca sorbirci i sofismi sulla volontarietà.

Fatta la premessa, non trascuriamo però un primo tempo gettato alle ortiche, con una squadra che, invece di calare il briscolone dopo la sconfitta della Lazio, è scesa in campo molle e senza idee. Nessuna corsa senza palla, gioco sterile, idee poche e confuse.

Gli avversari hanno preso le misure al gioco di Conte e ora bisogna inventarsi qualcosa per rimescolare carte fin troppo chiare. Le assenze di Pirlo e Asamoah pesano, eccome. Pogba, nel ruolo di playmaker, si è nascosto ed è parso che i compagni non facessero nulla per cercarlo.

Sulla sinistra, poi, l’assenza del ghanese è al limite della vedovanza. De Ceglie, dopo aver goffamente perso Mauri nell’azione del gol laziale in coppa Italia, si è fatto bere da Kucka due volte nella stessa situazione. Poi il cross e Borriello e Marco Rossi soli sul secondo palo, con Bonucci a tenere in gioco tutti. Troppi errori, gravi, in una sola azione.

Che succede? Buffon in due partite non si è neppure sporcato i guanti e abbiamo portato a casa due pareggi per 1-1. Un campanello d’allarme che può essere ascoltato con serenità, vista la classifica. L’importante è non farsi distrarre da arbitri che, ad andar bene, sono drammaticamente scarsi.

domenica 13 gennaio 2013

Il guaio di non saper vincere senza merito

Viene la tentazione di commentare quello che succede alle nostre spalle e capire come viene spinta avanti la nostra concorrente diretta, ora che in Lega il suo presidente sembra dettar legge. Ma sono discorsi meschini e, come s’addice al blasone della mia squadra, preferisco guardare che cosa non va in casa mia.

Il tema del carico di lavoro di gennaio e febbraio torna d’attualità e dobbiamo ringraziare il Milan che si è fatto eliminare dalla Coppa Italia, altrimenti staremmo parlando di crisi conclamata. La Sampdoria non è stato un incidente di percorso, ma lo specchio di questa fase della Juve. Pesante, ferma, con poche idee e ancor meno soluzioni.

Chi ha impallinato Peluso la scorsa settimana va riascoltato alla luce della triste prestazione di Caceres, uno che è tutto fuorché un “pip player” (cit. Conte), ma che evidentemente paga il periodo e l’acido lattico nelle gambe. Il fatto vero è che Chiellini, il ruvido Chiellini, manca come l’acqua nel deserto.

Purtroppo, il discorso è antico: la Juve deve sempre andare al 110 per cento altrimenti soffre. Il top player è quello che ti fa vincere le partite che non meriti e si differenzia dal campione, che invece ti fa vincere tutte le altre. Di campioni la Juve è zeppa, ma di top ne ha uno solo: Pirlo, che pure ci è andato vicino a farcela vincere, questa di Parma.

Tuttavia il vero top player di solito sta là davanti, dove oggi boccheggiano i vari Giovinco, Quagliarella, Matri e l’acciaccato Vucinic. Quest’ultimo oltre tutto reo di peccato mortale: una finta fighetta che ha lanciato il contropiede di Sansone. (Contropiede? In vantaggio, alla mezz’ora del secondo tempo?)

La sensazione comunque rimane che il colpo del fuoriclasse oggi lo debba fare soltanto uno, per essere decisivo sul resto della stagione: il direttore Marotta. Se non arriva ’sto benedetto attaccante le partite di Parma si continueranno a non vincere. E amen in Italia, ma in Europa equivale ad alzare bandiera bianca definitiva.