giovedì 29 marzo 2012

Davvero Diego è meglio di Leo?

Maradona ha vinto un Mondiale, quasi due da solo. Nell'Argentina Messi non ha mai brillato. Diego è stato il migliore tanto nel Barcellona quanto nel Napoli, che ha reso grande arrivando dal nulla. Leo è diventato grande in una nidiata di fenomeni e sempre nel Club que es màs que un club.

Queste e altre altre sono le tesi, difendibilissime, di chi sostiene che Messi debba mangiare ancora tante empanadas prima di diventare grande come il Diego Armando.

Eppure non tengono conto di un dato. Forse piccolo, ma venitemi a dire se ininfluente: all'età di Messi Maradona non aveva vinto alcun Mondiale e nei club (Argentinos Juniors, Boca Juniors e Barça) aveva vinto infinitamente di meno. Neanche a paragonarli.

Oggi come oggi, io considero il quasi 25enne Leo almeno allo stesso livello del quasi 25enne Diego. Almeno.

Palmarès di Maradona nel 1985 (è nato nel 1960):

1 campionato argentino
1 Coppa di Spagna
1 Supercoppa di Spagna
1 Campionato del mondo Under 20

Palmarès di Messi:

5 campionati spagnoli
5 Supercoppe di Spagna
1 Coppa di Spagna
3 Champions League
2 Supercoppe Europee
2 Coppe del Mondo per Club
1 Campionato del mondo Under 20
1 oro olimpico



mercoledì 28 marzo 2012

Alli Stramou!


Tutti ci raccontano che Sacchi lo descrive come un fenomeno. Così pure Spalletti. Per la verità, io non ho sentito né uno né l'altro, anzi quello che scrive oggi l'Arrigo sulla rosea mi pare un po' più cauto, nonostante un titolo di regime che rinnega il contesto («La scelta di Moratti mi ricorda Laporta col giovane Guardiola», gli mettono in bocca, ma in realtà il suo è solo un augurio).

Non si può giudicare un professionista e tanto meno una persona da una conferenza stampa, tuttavia Andrea Stramaccioni mi sembra stia proprio per finire nella bocca del drago. Pur bravo che sia, e si vedrà quanto, come potrà non affondare in una situazione e con giocatori che hanno segato senza pietà uno come Benitez che sulla mensola aveva una Champions vera e non una dei ragazzini? Nel giorno del penoso scaricabarile su un professionista navigato come Gasperini, che si vede accusato di un'intera stagione catastrofica avendo passato tre sole giornate sulla panchina dell'Inter, la stampa leccapiedi lo dipinge come il nuovo Mou.

In effetti, come Mourinho non ha mai giocato a calcio. Solo che il lusitano ha cominciato a farsi valere nel Porto, dove non c'era gente più vecchia di lui o che aveva vinto Champions e Mondiali per club, giocato da protagonista finali Mondiali per Nazioni (come Sneijder, che avrà il mandato di tagliare). Solo dopo ha cominciato a maneggiare gente come Drogba, JT e Lampard, potendo mostrargli il tesserino da vincente. Ci ha riprovato Villas Boas, che pure non era il primo che passava, e dopo nove mesi è tornato a pescar bacalhau in Portogallo.

E il povero Stramou? Che dirà a Zanetti: io ho vinto la NextGen Series?

Insomma, tutto sembra fuorché un progetto, anche se ce la stanno presentando come una rivoluzione. La solita scelta di pancia di un presidente che s'è emozionato vedendo una partita di ragazzi, mentre la squadra vera affogava in se stessa contro la rivale di sempre.

Il rischio, non per l'Inter, ma per il calcio italiano è quello di bruciare una promessa, che poteva fare una strada diversa. Dopo nove gare di mazzate, quanto ci rimetterà Stramaccioni a riprendendersi? Sarà chiaro che fine farà dopo la prima, inevitabile sconfitta. Perché in Italia, si sa, ti concedono tempo solo se sei Luis Enrique.

lunedì 26 marzo 2012

La lunga notte dei capitani (A-Team su laStampa.it)


La notte dei Capitani. Quelli in campo, il Capitanovero e SuperGigi, e quello in panchina. Che trio, l'han vinta loro, in barba alle critiche striscianti.

Di Del Piero si narrava fosse un ex. Non ha più il passo, quello no, ma la classe non invecchia mai. E il vecchietto ha insegnato a tutti i giovanotti colleghi suoi che se vuoi bene alla palla, la coccoli e l'accarezzi, quella ti ripaga facendo le fusa nella porta avversaria. Nel volgere di una manciata di secondi, s'è vista la differenza tra lui e Vucinic: occasione identica, risultato diametralmente opposto. Mirko l'ha ciabattata su Julio Cesar, il capitano l'ha soffiata in rete. Commozione vera. Lo Stadium navigava nelle lacrime di gioia di un popolo che non dimentica.

Il capitano in seconda è il Superman della porta. Quello che qualcuno avrebbe voluto veder andare altrove per lasciare il posto a Storari, “che tanto è bollito”. Ignoranza calcistica crassa e inscusabile: Buffon è il migliore in assoluto anche quando non tocca palla, solo per la calma che regala alla difesa.

Infine, il Capitano della panca, quello che veniva accusato di non saper leggere le partite, di non azzeccare i cambi. Belli serviti tutti. La Juve gioca da 5 col 4-3-3: fuori in un colpo Matri e Pepe, dentro Alex e Bonucci. Caceres spostato sulla mediana. Lo Stadium che si chiede: che cacchio fa? Nel giro di qualche minuto s'è capito che stava facendo: stava demolendo l'Inter, che da quel momento non l'ha più vista. E proprio Caceres nella nuova posizione e il neo-entrato Capitano hanno steso l'asfalto sul ciclo nerazzurro.

Una partita della vita, ma non più per la Juve, che ormai guarda soltanto ai tre punti. Suoi e quelli del Milan. Purtroppo, quando s'insegue è così. Speravo in qualcosa di più dalla Roma, ma anche lì s'è messo in evidenza un capitano. Quel Totti ai minimi storici che con il match ball tra i piedi je ha fatto il cucchiaio. A uno alto due metri come Abbiati. Un altro, uno qualsiasi, sarebbe stato preso per un orecchio dall'allenatore e sbattuto sotto la doccia. Il Pupone no. Il Pupone non si tocca. Peccato.

sabato 24 marzo 2012

Con i maestri


Massimo De Luca (a sinistra) e Roberto Beccantini (a destra, sullo sgabello). Due maestri di giornalismo sportivo, alla presentazione del libro Sport in Tv, l'altroieri all'HoF - Hall of Fame, di Milano. (Al centro, il coautore Pino Frisoli).

mercoledì 21 marzo 2012

Che notte! E ora tutti a Roma! (A-Team su LaStampa.it)

Che notte. Profumava di primavera europea. Onore al Milan, col quale stiamo condividendo un'annata straordinaria e col quale s'è girato uno splendido spot per il calcio italiano, per chi ha guardato questa semifinale dall'estero. Le considerazioni sono fin troppe per poter essere esaustivi. Metto giù dei punti d'approfondimento e lascio ai commenti l'opportunità di scendere nel dettagli.

  1. Il Capitano è stato emozionante. Per come ha vissuto la partita, per il gol che ha messo a dura prova l'acciaio dello Stadium e per quel saluto finale. Pareva davvero un congedo. Un addio degno della sua immensa carriera, in una partita vera, giocata da protagonista. Ieri ci ha detto ciao e dopo una vita con lui è un piacere che fa male.
  2. Si vince imparando a vincere. Sottovalutare la Coppa Italia è miope. Questa finale irrobustisce l'autostima, non soltanto della squadra, ma anche della Società. Vincere rafforza la certezza di essere sulla strada giusta.
  3. Abbiamo perso l'imbattibilità (le statistiche contano i 90') nel modo migliore. Ora togliamoci dalla testa questo inutile record e concentriamoci sui tre punti, che i pareggi non servono più.
  4. Vucinic è sbocciato. Non so se diventerà mai il top player che sogniamo, ma se gioca così fino alla fine del campionato può farci vincere molto (e non vado oltre per scaramanzia).
  5. Non è tutt'oro ciò che luccica. Certi svarioni difensivi e un imbarazzante Borriello dovranno essere accuratamente analizzati da Conte.
  6. Il Milan non è di un altro pianeta. Questo ormai è un dato di fatto.
  7. Ibra, quando conta, quando è dentro o fuori, ha sempre la febbre, anche quando non ce l'ha.
  8. Massimiliano Allegri sta dimostrando di non saper reggere la pressione. Anche stavolta ha trovato l'occasione di lamentarsi dell'arbitro. Non però quando Aquilani ha tentato l'omicidio su Vucinic e s'è preso solo un giallo. Con un allenatore così sulla panchina avversaria vale la pena tenerli sotto pressione psicologica.
  9. Giaccherini e Vidal se donano un polmone ne hanno comunque uno in più del normale. Li ho visti scattare negli spazi al 118'. Pazzeschi.
  10. Lo Stadium è da impazzire. Non vedo l'ora di vederlo in Champions. Ma intanto tutti a Roma!

domenica 18 marzo 2012

La manita di Marotta (A-Team su LaStampa.it)

Una calda manita tesa al popolo viola, che s'aspettava la partita della stagione. Il gusto di una batosta storica però è attenuato da quel sano senso di superiorità che sta tornando a germogliare: vincere a Firenze significano tre punti nella corsa scudetto. Stop. Poi lasciamo ai viola le sciarpe insultanti, le patetiche parrucche, i cori vigliacchi. La corsa del gambero verso una meritata Serie B.

Nella tana di Pantaleo Corvino
chissà come si pasce Giuseppe Marotta. Legge lo score e trova Vidal, che ha fortemente voluto in estate, il neo-arrivo Simone Padoin, l'immenso Pirlo, da tutti considerato un suo personale vezzo, e questo scintillante Mirko Vucinic uscito dal letargo. Che risplende vieppiù al confronto del pettinatissimo Amauri, che alla vigilia prometteva festeggiamenti di rivalsa e che ieri ha dimostrato una volta di più che le strade per la Serie A sono misteriose. Talvolta ci si arriva senza un vero perché.

Al di là dei dati statistici e di quel sottile e umanissimo gusto sadico nel vedere la Fiorentina allo sbando, l'elemento reale è che la Juve è tornata a correre, ragionare e, vivaddio, a tirare nello specchio della porta. La risposta alla vittoria del Milan a Parma non poteva essere più soddisfacente: perdere il passo avrebbe significato dire addio allo scudetto. Abbiamo annullato un match point.

Ora la palla torna nella nostra metà campo
. Vincere martedì in Coppa Italia per minare le sicurezze rossonere e per lasciarli macerare nei dubbi blaugrana. Il campionato è ancora molto lungo e molto divertente.

lunedì 12 marzo 2012

Quando mi vergogno per conto terzi (A-Team su LaStampa.it)

Ci sono occasioni in cui mi vergogno per conto terzi. Succedeva già da bimbo, quando alla radiolina passavano le improbabili performance dell'indimenticabile Corrida radiofonica, quella vera, con Corrado e il maestro Pregadio. Poi imparai ad apprezzare l'inapprezzabile e quel tipo di vergogna la superai, affinando il gusto per l'orrido.

Essa perciò cambiò forma, divenne fluida.
Qualcuno la potrebbe definire indignazione, come quella che provai nel vedere un intero Parlamento votare convinto che una ragazzina marocchina poteva essere la nipote di Mubarak. Non era un sentimento politico o morale, il mio: proprio psicologico. L'immedesimazione in quei paludati signori capaci di aprire la bocca per proferire idiozie così colossali io la vivo fisicamente. Quando accade, io mi sento al posto loro e vorrei sprofondare, anelo che il pavimento mi inghiotta, vorrei addormentarmi per risvegliarmi tra cent'anni. Sento addosso gli occhi del mondo che ride, come se io fossi là.

Mi è capitato ieri due volte. Quando ho visto lo spaesato Elia entrare in campo con l'espressione di quello che chiede a che ora passa il treno. Quello che lo investirà. Quando correva e si dimenticava il pallone, quando si scartava da solo, quando si trovava ovunque fuorché dov'era lecito fosse. Mi sono sentito lui e sentivo addosso il giudizio di Pirlo, quando gli ha aperto un pallone sulla fascia e lui stava altrove domandandosi dove. Vedevo le bocche attonite, aperte in O di stupore, di tutti quelli che avevano adottato il refrein di gran moda: “Perché Conte non fa mai giocare Elia?”. Mi sono sentito lui e avrei voluto essere in Olanda a pedalare in riva a un canale.

Poi è successo quando ho visto l'arbitro Rizzoli di Bologna, che oggi Wikipedia definisce goliardicamente milanista. L'ho visto fischiare cose che voi umani e mi sono vergognato fino al midollo. Mi sono vergognato di essere quello che finora ha scritto che non bisogna lamentarsi e tirare dritti, come se nulla fosse.

Magari domani mi vergogno pure di non essere in silenzio stampa.

giovedì 8 marzo 2012

Conte, dacci un cazzotto

Mancavano 13 partite e ora abbiamo 13 vittorie e 13 pareggi. I gol subiti sono 17. Chi non è superstizioso alzi la mano.

Ma sono altri i numeri che devono far riflettere. Sono più vicini i due punti del Milan o i quattro della Lazio? A giudicare dalla prova di ieri e da quella malcelata isteria in campo e fuori verrebbe voglia di guardarsi le spalle, che di uno come Reja non c'è da fidarsi.

Personalmente però sono ancora iscritto al club del bicchiere mezzo pieno. Con 12 partite da giocare, a due punti da un Milan che all'Emirates Stadium ha dimostrato che di imbattibile c'è soltanto la speranza, io me la voglio giocare.

Conte deve cambiare subito registro: dimenticarsi la nenia del “ricordatevi da dove arriviamo” e cominciare a indicare dove potremmo arrivare. Basta guardare il passato, abbiamo bisogno di un conducator che ci indichi il futuro. Che indichi laggiù, dove già s'intravede lo striscione d'arrivo e tiri fuori a tutti (giocatori, società e ora pure ai tifosi sfiduciati) la grinta, la cattiveria, la voglia disperata che spesso riescono a supplire a tutte le carenze.

Anche a quelle di un attacco che ormai è più astinente di un asceta. Che poi abbia segnato Vucinic (alleluja) è un cascame statistico: prima o poi quello che non accade per troppo tempo, arriva anche senza volerlo. Però tutta questa fatica per metterla in porta mina la psiche.

Guai ad arrendersi. Giù la testa e pedalare in salita come se si fosse in discesa. Ci aspettano due trasferte che, in salute, dovrebbero allarmare solo per il nome, non certo per l'effettiva qualità dell'avversario. In questo momento, però, il nemico più difficile da battere siamo noi stessi.

Ecco perché serve un bel cazzottone di Conte (e non agli arbitri: basta). Non ci si può afflosciare come un souffé proprio adesso. Un altro passo falso e davvero dovremo distrarci dal Milan per concentrarci sulla Lazio.

domenica 4 marzo 2012

Bisogna tornare a mangiare l'erba (A-Team su LaStampa,it)

L'umore cambia rapidamente, soprattutto quando si vive di insicurezze. Dopo l'euforia della partita e la furia dialettica del post partita di San Siro, ieri allo Juventus Stadium si respirava un clima sconsolato.

Antonio Conte, l'uomo che fino a qualche settimana fa mangiava l'erba, si mostrava afflitto e deluso, ma non arrabbiato. Il suo mantra, ripetuto a raffica e con voce monotona, era di ritenere un miracolo quello che la Juve ha fatto finora.

Non ha sentito gli ingenerosi fischi dello Stadium, ha detto. Invece, li abbiamo sentiti tutti a fine partita. Fischi di delusione e forse d'impotenza. La stessa che vive la Juve qui, tra le mura amiche, che avrebbero dovuto portare i 7-10 punti in più e che si stanno tramutanto in un incomprensibile tabù.

O forse è comprensibilissimo, e Conte l'ha capito prima di tutti e per questo lancia un allarme che ne vale due. Il primo è diretto ai tifosi: non volate troppo alto che quando si cade ci si può far molto male. Il secondo, alla società: io ho fatto un miracolo, ma non chiedetemi di farne due. E ora che si cominciano a tirare le fila del prossimo mercato, tenetene conto, se non volete tornare a frequentare i settimi posti.

Non è mancata neppure una frustatina alla squadra, nonostante continui a ripetere che lui non finirà mai di ringraziarla per quello che sta facendo. Troppo puri, chiama i suoi giocatori. Che tradotto significa che non sanno che cosa significhi la vittoria. A parte Buffon e Pirlo (e quando può, Del Piero), in effetti sono tutti purissimi. È certamente un limite, che il Milan proprio non ha.

Ma è anche una sottolineatura dell'avvertimento fatto a Marotta e c.: a giugno deve arrivare qualche “impuro”, con la bacheca piena e ricca, che trasmetta ai verginelli la capacità di vincere anche le partite che non meritano i tre punti. I campionati si vincono soltanto così: vincendo le partite immeritate. Ieri, invece, il pareggio è stato meritatissimo: onore al Chievo, ma non è con quattro meritati pareggi in cinque giornate che si vincono gli scudetti.

Così si spiega la desolazione di Conte che invita a guardarsi le spalle. Udinese e Lazio non sono così lontane e un abbassamento di concentrazione può aprire scenari inimmaginabili. Una Juve come quella di ieri può preoccuparsi sul serio, ma io continuo a pensare che sia stata troppo brutta per essere vera.

Mercoledì c'è il Bologna e sapremo prestissimo che sarà di noi. Conte sfrutti la domenica per incamerare nuove energie mentali e tornare a trasmettere ai suoi la voglia di divorare l'erba del Dall'Ara. Senza quella voglia lì, siamo una squadra da quattro pareggi in cinque gare.

P.S.: Un caro saluto a tutti quelli che credevano fosse meglio incontrare il Milan con Ibra.