venerdì 31 dicembre 2010

Vota la stella di Zibì


La mia prima maglietta bianconera aveva il 7 rosso di Helmut Haller. Nessuno lo voterà mai, purtroppo, ma il tedesco è uno dei possibili ripescati in quella strana e assurda vicenda che riguarda la “stella di Boniek”.

Come si sa, il nuovo Delle Alpi, prendendo esempio da Disneyland, sarà costellato (nel vero senso della parola) di piastrelline placcate, col nome del tifoso pagante (dai 250 ai 350 euro, mica acqua fresca). La novità rispetto ai parchi di divertimento è che il lastrico è dedicato a 50 campioni del passato. Fino a qualche giorno fa tra questi c’era Zibì Boniek, uno che indiscutibilmente la storia della Juve l’ha fatta: per conferma, chiedere a Giampiero Boniperti quanto ha esultato all’Heysel, quando Zbigniew è svenuto davanti all’area del Liverpool.

In quell’occasione io proprio non potevo, ma ho esultato (e tanto) invece quando l’anno prima ci regalò la seconda coppa europea, segnando in finale di Coppa delle Coppe contro il Porto o quando buttò due volte il pallone rosso alle spalle di Grobelaar per la prima nostra Supercoppa Europea, il 16 gennaio 1985.

Eppure, inseguendo la pancia dei tifosi più accesi, il “Bello di Notte” (definizione di Agnelli, quello vero), forse non avrà la sua stella nella nostra nuova casa. La colpa: essere troppo filo-romanista. Come se il suo intimo sentimento possa andare contro l’evidenza della storia. E chi se ne frega se alla Domenica Sportiva critica la Juve? Le sue opinioni cancellano forse quanto ha fatto trent’anni fa sul campo?

Eppure, grazie a un cavillo burocratico, la sua stella è stata rimessa in ballottaggio e una nuova lista di 53 giocatori del passato si rigiocheranno il privilegio con una votazione online (che ovviamente favorisce i campioni più recenti, visto che di solito votano i più giovani).

Non mi piace, non mi è mai piaciuta, una società che insegue il compiacimento dei tifosi. Una società femmina che si piega a chi alza la voce di più. La forza di una dirigenza si coglie dalla convinzione di quello che fa, dal non rimangiare mai le proprie decisioni, di non essere dipendente da fattori esterni. Sarebbe bello se la maggioranza silenziosa dei tifosi bianconeri rivotasse in massa Zibì Boniek. Non ci credo e neppure ci spero, ma sarebbe un bel segnale di dignità per questo entrante 2011.

(P.S.: mentre scrivo, il link per la votazione non è attivo: sarà un caso?)

mercoledì 22 dicembre 2010

Quanto siamo caduti in basso da allora

Il livello del Paese si valuta dai suoi protagonisti. Son passati trent'anni e si sentono tutti.

domenica 19 dicembre 2010

Mister e Vincenzone, c'è categoria e categoria (A-Team)

Esiste una categoria di calciatori che lotta, suda, spinge, crea confusione, sbuffa, si danna, si lancia su ogni pallone come se fosse l’ultima chance della vita. Ma non segna mai. Almeno, mai quando serve davvero. Li chiamano “generosi”. Il capostipite fu Ciccio Graziani che, grazie a Dio, giocava nel Toro e poi nella Roma e, disgraziatamente, nell’Italia. Diventò Campione del Mondo l’11 luglio 1982, guardando Alessandro Altobelli, che giocò al suo posto, segnare in finale. “Spillo” era tutto fuorché generoso: infatti, entrava in campo e la metteva. Magari neanche sudava, ma faceva gol a secchi.

Vai a capire il perché, i generosi sono adorati dagli allenatori. Ne vorrebbero 11, magari pure qualcuno di scorta. Vincenzo Iaquinta è da tempo iscritto "ad honorem" a questa prediletta categoria. Anche col Chievo ha fatto a cazzotti con tutta la difesa, con un campo infame e anche con se stesso. Purtroppo per lui, e anche per noi, da troppo tempo però sta facendo a botte pure con la porta, che a malapena intuisce dov’è.

Discorso vecchio, qui sviluppato ampiamente e senza acrimonia verso il giocatore: con Iaquinta prima punta non si va da nessuna parte. Peccato doverlo ribadire prima di un Natale che fino al 92’ era dolcissimo. Arrivare alla sosta a -3 da un Milan zavorrato dal prossimo arrivo di Cassano, poteva significare tanto.

Poi c’è una categoria di allenatori che, quando si ritrova in 10, toglie la punta più stanca e ne mette un’altra fresca . E poi c’è quell’altra, che toglie la punta e mette un difensore, anche fuori ruolo. Quelli che appartengono alla prima, vincono le Champions. Gigi Delneri appartiene alla seconda.

Difficile altrimenti preferire in campo Legrottaglie e Traoré a Krasic e Pepe, quando c’è da tenere la palla lontano dalla porta. Certo, la panchina non offriva grandi alternative (eufemismo da rileggere in chiave mercato), ma non risulta ci fosse una prescrizione medica che imponesse a tutti i costi la sostituzione di Milos, l’unico in grado di tenere il pallone laggiù. La sostituzione al 43’ del serbo rimane un mistero che soltanto Roberto Giacobbo potrà svelare.

Vabbe’, siamo in clima natalizio, perciò sforziamoci di guardare il lato gioioso della giornata: se avessimo vinto, magari Marotta e co. si sarebbero illusi di avere una squadra competitiva, risparmiando sul mercato. Così, non ci sono più scuse. Auguro alla Società che Babbo Natale faccia trovare tanti bei baiocchi sotto l'albero!

venerdì 17 dicembre 2010

giovedì 16 dicembre 2010

Eh sì, bravo, il mio Napoleone

Eh, certo, tu mi fai un torneino con i coreani e i congolesi e mi poi mi vieni a dire che sei campione del mondo.


lunedì 13 dicembre 2010

E ora siamo di fronte a un bivio storico (A-Team su LaStampa.it)

L’emozionante vittoria sulla Lazio (che genuina goduria segnare a due secondi dalla fine!) ci mette di fronte a un piacevole dubbio. Dobbiamo continuare con questa squadra e i suoi alti e bassi? Trenta punti su 16 partite, proiettate sulla fine del campionato potrebbero significare un media da terzo posto (71 punti). Un risultato in linea con gli obiettivi estivi, figli di una rivoluzione generale, a partire dalla dirigenza in giù, e delle tante carenze d’organico che a tutt’oggi brillano d’evidenza.

È più che chiaro che un Krasic formato Champions League non può coprire da solo i limiti più gravi, su tutti l’assenza di una prima punta vera. La prestazione di Iaquinta grida vendetta. Per carità, non è (solo) colpa sua: non è il suo ruolo e non è neppure l’uomo adatto per gli schemi di Delneri. Cerca sempre di essere lanciato in verticale, ma abbiamo una squadra che male s’adatta a queste caratteristiche. Col risultato che ne vengono fuori improbabili traversoni dalla tre quarti che, da che il calcio è stato inventato, sono miele per le difese avversarie. Il povero Vincenzo si sbatte come un dannato, ma col risultato di far sudare anche il guardalinee, per tutte le volte che deve segnalare i suoi fuorigioco.

Ciò nonostante siamo in corsa, con l’attacco più prolifico del campionato. Il Milan, che pare fare corsa a sé, è a soli 6 punti e, malgrado un meraviglioso Ibra (scusatemi, ma io continuo a esserne innamorato), non dà l’impressione di poter ammazzare il torneo.

Perciò, ecco la domanda: ci accontentiamo per correre per un posto in Champions League o azzardiamo ciò che finora nessuno s’è ancora confessato?

Naturalmente, la risposta passa per il mercato di gennaio. Pur in periodo d’austerity e di fair-play finanziario, l’occasione che si sta prospettando è straordinaria. Proviamo a pensare che cosa significherebbe entrare nel nuovo stadio con lo scudetto sul petto. Qualsiasi investimento sarebbe ampiamente ripagato. Invece di attendere la prossima estate, non è meglio mettere mani al portafogli subito? Consideriamolo un investimento a termine praticamente immediato: spendiamo a gennaio per raccogliere i frutti dopo neppure quattro mesi.

Certo, l’offerta di campioni a gennaio è limitata. Ma anche perché normalmente sono limitati gli investimenti. Tanto per dirne una, Tevez e Benzema sono in vendita. Qualsiasi sia il loro prezzo, vorrebbe dire avere il nuovo Delle Alpi sempre esaurito, riacquistare credibilità internazionale, vendere l’immagine Juve con ben altri parametri e, soprattutto, tornare a mettere trofei in bacheca . Sembra fantacalcio, ma se in sede faranno due conti forse si scoprirà che sono soldi che non fanno a tempo uscire che rientrano.

Se vogliamo inaugurare il nuovo stadio degnamente, non lasciamoci scappare un’occasione storica.

P.S.: Mi asterrei a far commenti sull'uscita di Delneri su Buffon, dopo la prestazione di Storari di ieri.

giovedì 9 dicembre 2010

Callisto Tanzi e i momenti in cui son fiero di essere italiano

(ANSA) - Per il crac Parmalat da 14 miliardi di euro, il Tribunale di Parma ha condannato l'ex patron della società Calisto Tanzi a 18 anni di reclusione. Il pm aveva chiesto per lui 20 anni di reclusione. Sono condannati anche altri dirigenti della società.

Milan - Roma. A che serve la tessera del tifoso?

A niente. O, meglio, non certo a combattere il tifo violento: "Per Milan-Roma non sono state decise limitazioni e i biglietti potranno essere acquistati anche dai tifosi non possessori della tessera" (Fonte: Ansa). Le due tifoserie, tradizionalmente acerrime rivali, potranno scannarsi, ma non godranno degli sconti natalizi offerti dagli esercizi commerciali affiliati alla tessera del tifoso. Peccato per loro.
In compenso, il Comitato di Analisi per la Sicurezza delle Manifestazioni Sportive, ha vietato ai tifosi ospiti di seguire Forza e Coraggio - Ebolitana (dilettanti).
(Chi crede che dietro i privilegi delle squadre romane ci sia un intrico di interessi politici non è figlio di Maria).

lunedì 6 dicembre 2010

Bravo Fabio, ma continuiamo la ricerca del bomber (A-Team su LaStampa.it)

Fabio Quagliarella, pungolato dall’insistente richiesta di un attaccante da 20 gol, s’è messo sulla strada per regalarceli lui. La media è giusta. Nessuno s’illude che possa essere lui l’uomo della Provvidenza o anche soltanto il nuovo Ibra. Però è una bella sorpresa, che contribuisce anche a rendere meno freddo l’inverno del Capitano, che può prendersi meritate pause, senza usurarsi inutilmente, in attesa di tempi e campi migliori.

Ora lo scugnizzo si avventura in dichiarazioni del tipo: “Non serve un bomber, ai gol ci penso io”. Che è un bello spot di fiducia e di forza mentale. Se uno non sta bene anche di testa, certi pensieri non gli vengono nemmeno.

Detto questo, applaudiamo il momento di Fabio, ma non lasciamoci accecare dalle emozioni. Che la ricerca continui: troviamo la punta da 20 gol. Poi, se Fabio ne farà altrettanti avremo un attacco atomico. Dovremmo lamentarci?

A questo proposito, Catania, oltre a tre punti d’oro, ci ha regalato un istruttivo gioco di specchi tra il nostro numero 18 e proprio colui che per alcuni dovrebbe affiancarlo da gennaio, Maxi Lopez. Se è questo il nostro nuovo attaccante (e io temo che tanto meglio non sia), ne abbiamo davvero bisogno?

Il candidato illustri il significato di domanda retorica.

Infine, la solita, stucchevole polemica sulla moviola in campo. Ora siam qui a far filosofia sul gol non visto, ma se non avessimo vinto sarebbe stato d’andare in Svizzera a tirar giù Blatter dal pero.

Ma che ci vuole a mettere un sensore nel pallone, una telecamerina attaccata al palo, una banalissima moviola a disposizione del quarto arbitro o quello che pare al padre-padrone della Fifa, per evitare in tutto il mondo castronerie arbitrali tanto abissali? Qui non si mette in dubbio la sua tanto amata discrezionalità dell’arbitro (che è fonte di potere). Qui non ci sono dubbi filosofici da redimere, bisogna soltanto guardare se la palla è dentro o è fuori. E quando tutti vedono che è dentro e gli unici due che non se ne accorgono sono arbitro e guardalinee, forse sarebbe meglio aiutarli a uscire dallo stadio senza scorta, no?

giovedì 2 dicembre 2010

Qatar 2022. Ma prima si giocheranno i Mondiali dei finti ingenui

Nel 2022 i Mondiali si giocheranno in Qatar. Ora i moralisti, finti ingenui e polemisti d'antan scopriranno su Google Maps dove si trova e grideranno alla lesa maestà. "Oh, cielo, il Mondiale in uno staterello di un milione e mezzo d'abitanti. E poi come si può giocare con quel caldo?".

Ma per fargli capire che cosa possono fare quei quattro gatti dispersi nel deserto, forse basterà dirgli che lo scorso anno Brasile e Inghilterra e hanno giocato un'amichevole in un impianto, in cui il sistema di aria condizionata ha porta­to la temperatura in campo e sulle tribune tra i 18 e i 21 gradi.

A Pasadena (Usa), durante la finale Brasile - Italia, ce n'erano 45.


Sciopero! Io sto coi calciatori (A-Team, su LaStampa.it)

Chiamatelo sciopero. È una parola nobile e democratica. Molte vite e molti dolori soggiacciono ad essa, non vergognatevi a pronunciarla. Anzi, se siete convinti di quello che fate, pronunciatela fieramente e ad alta voce. Non fermatevi sui cavilli: “Si tratta di astensione e non di sciopero”, dice Sergio Campana, presidente dell’Aic. E se pure è vero che qui non salta un bel niente perché la giornata di campionato viene poi recuperata, con tutti i suoi diritti tv e compagnia cantante, “astensione” suona troppo politicamente corretto. Audioleso, operatore ecologico, homeless e ora astensione. Come se non chiamare le cose coi loro nomi le rendessero diverse.

Invece, è giusto scioperare anche se hai un pozzo di soldi, perché la dignità non ha prezzo. Questa volta non ci sono di mezzo procuratori o clausole rescissorie, diritti d’immagine o sponsorizzazioni. Qui c’è in gioco il ritorno al pre-Bosman, quando le società disponevano del cartellino e, di riflesso, della vita del calciatore. Che, benché lautamente pagato, è un lavoratore che ha sottoscritto un contratto, senza usare il kalashnikov per ottenere la firma della controparte.

Evidentemente, però, siamo arrivati a un punto di non ritorno: la crisi globale sta facendo emergere le falle di un sistema, dove l’improvvisazione e l’ignoranza economica hanno dominato incontrastate. Dove le società hanno accumulato debiti stratosferici che, in qualsiasi altro settore economico, avrebbe causato sacrosanti fallimenti. Si deve rimediare, non c’è dubbio. Ma la risposta qual è? Quella di sempre, non solo nel calcio: riversare sul lavoratore l’onere del risanamento.

E se questi non ha intenzione di pagare l’inettitudine del suo capo? Ecco pronte un paio di norme che spalancano le porte alla ritorsione più pelosa. Anzi, chiamiamolo pure come si usa oggi, nel mondo del politically correct: mobbing.

Perché tenerlo separato dal gruppo e farlo lavorare a parte anche se sta bene, spedirlo lontano contro il suo consenso, renderlo prono e senza difese ai voleri dei più volubili presidenti non è altro che questo: un abuso vergognoso (come lo chiamo io, che sono poco corretto).

Perché i calciatori dovrebbero accettare queste norme a senso unico? Fanno bene a protestare, e io applaudo la serrata, pensando non agli Ibrahimovic o agli Eto’o (e a Chiellini e Buffon), ma a coloro che se la sfangano sui campi di provincia, facili prede di presidenti-padroncini che (sia messo agli atti di tutte le anime belle che s’indignano per gli stipendi dei calciatori scioperanti) tanto proletari non mi sembrano.

Perciò, se loro scioperano, io sfilo al loro fianco. Da lavoratore a lavoratore.

P.S.: la Juve in Polonia saluta tutti e viene eliminata con un turno d’anticipo. In Europa League, cinque pareggi in cinque partite, che io leggo in altro modo: neanche una vittoria. Non condivido l’entusiasmo di una parte (abbondante) della tifoseria bianconera che vive questa eliminazione come la liberazione da un impiccio. Chi indossa la maglia della Juve e la porta a spasso per l’Europa deve avere rispetto per la storia di questa leggendaria società. Quei colori e quelle strisce all’estero significano molto di più di quello che qualcuno qui da noi è portato a credere. Il campo pesante è alibi per signorine. Andate a chiedere un parere a Platini e Boniek se la Supercoppa Europea vinta nel 1985 non è stata partita vera, per via della neve. Il dovere della Juve è uno solo: vincere. Se qualcuno è portato a pensare diversamente, ci sono tanti altri club - dalla Samp al Napoli- disposti ad accoglierli a braccia aperte. Tifosi compresi.