mercoledì 11 dicembre 2013

Inutile piangere sul latte turco

La Champions è una competizione molto logica: di solito passano le più forti. E alla fine vincono le migliori. Su 14 edizioni della lega europea com’è oggi, solo tre volte ha vinto chi è qualificata seconda nel gruppo. E due di queste tre volte sono squadre di Mourinho: il Porto del 2004 e l’Inter del 2010 (l’altra è il Liverpool del celebre 3-3 dell’Ataturk al Milan).

Questo per dire che se fai sei punti in sei partite c’è poco latte versato su cui piangere. Ha ragione Conte a sottolineare che “l'errore è stato ridurci a giocare l'ultima gara qui a Istanbul con la qualificazione in bilico”. Ingenuità come il pareggio di Copenaghen o, ancora peggio per come è maturato, quello in casa col Galatasaray in Champions League si pagano senza appello.

Poi, certo, in una competizione multimilionaria non ti aspetti di giocare su un campo da oratorio, ma se capita bisogna adattarsi. Il che vuol dire palla lunga e viva il parroco. Sul fango si lotta non si cerca il triangolo e due lenze come Drogba e Snejider hanno dimostrato di avere la maturità per applicarlo. Didier non finirà mai di stregarmi, ma questa è una fissa tutta mia e mi porterebbe fuori tema.

Le ricadute psicologiche di questa mancata qualificazione sono tutte da valutare. Più facile invece calcolare quelle sul bilancio. Sarà un ammanco che peserà fatalmente sulla campagna acquisti del prossimo anno. Salvo vincere l’Europa League e partecipare alla Supercoppa europea.

Ma, al di là della suggestione della finale in casa, l’Europa dei poveri è una iattura per quantità di impegni, trasferte, partite al giovedì. Urgono ricambi, magari anche non di statura tecnica elevatissima per rimanere coi titolari fortemente concentrati sul campionato. Largo alla Primavera, che tanto, pure lei, non ha più impegni in Youth League, eliminata dal Copenaghen.

mercoledì 4 dicembre 2013

Ecco Brazuca



Vi presento Brazuca, il pallone dei Mondiali brasiliani. Il nome in italiano non suona benissimo, ma ha senso in lingua madre. Il processo di scelta è tradizionalmente uno dei più delicati e questa volta è figlio di una votazione pubblica che ha coinvolto più di un milione di persone. In Brasile è un termine informale che indica uno stile di vita "da brasiliano". Dateci voi l'accezione che preferite.

A vedersi è bellissimo e dal punto di vista tecnico, adidas lo definisce così:

La tecnologia utilizzata per la camera d'aria e la carcassa di brazuca è identica a quella presente nei palloni Tango 12 (UEFA Euro 2012™), Cafusa (2013 FIFA Confederations Cup) e nel famosissimo pallone ufficiale della UEFA Champions League™. Tuttavia, l'innovazione strutturale rappresentata da una particolare simmetria formata da sei pannelli identici e la diversa struttura della superficie migliorano il grip, il controllo, la stabilità e l'aerodinamica in campo. brazuca è stato accuratamente testato per soddisfare e superare tutti i parametri FIFA per un pallone ufficiale, inclusa la capacità di garantire prestazioni ottimali in ogni condizione.

domenica 24 novembre 2013

Conte non scende mai a patti

Sarà anche solo per ventiquattr’ore, ma la Juve è di nuovo in testa da sola, in attesa di vedere che cosa farà la Roma in casa col Cagliari. Al di là del risultato dei giallorossi, la squadra di Conte si ritrova con due punti in più rispetto alla scorsa stagione, quando ammazzò letteralmente il campionato. Arriva in vetta con un filotto di 5 vittorie a fila, con 12 gol fatti e soprattutto zero subiti.

Sembra davvero che Firenze rappresenti una chiave di volta e spezzi questa fase di stagione in un prima e un dopo i quattro schiaffoni. La Juve del prima non aveva subito gol soltanto nel derby, quella del dopo non ne prende uno. Qualcosa, nella testa, quei quattro ceffoni l’ha indubitabilmente fatto scattare.

Inutile nasconderselo, il Livorno è pochissima cosa e dovrà lottare duro per conquistare il quart’ultimo posto, tuttavia è stata una vittoria di personalità. Conte s’è dovuto inventare dal nulla una formazione che in difesa rasentava il delirio creativo. Ha funzionato tutto, anche la pazienza che la squadra ha sfoggiato davanti al muro amaranto.

Talvolta questi atteggiamenti avversari premiano oltre ogni merito, quindi applausi alla capacità di non farsi innervosire e di andare avanti imperterriti a macinare gioco. Una partita, questa di Livorno, che mi ricorda molto quella di Parma, facendo le giuste proporzioni tra le due avversarie. Qui come là, però, abbiamo trovato squadre devote al primo non prenderle, pronte a firmare col sangue lo zero a zero. Complimenti perciò ai Conte boys che a tali patti non scendono mai.

E complimenti alla neo-coppia Tevez-Llorente. Quest’ultimo dovrebbe fare un bel giro d’Italia a raccogliere scuse, dopo l’accoglienza iniziale. Si faccia pure accompagnare da Conte, al quale erano bastate poche settimane per sentirsi dare del rovina-attaccanti. Fernando come Bendtner o Anelka: quante ne abbiamo lette. Io, vecchio rancoroso, non le dimentico.

lunedì 11 novembre 2013

La supremazia non si misura in centimetri


È piuttosto patetico che una partita come quella ammirata allo Stadium venga ridotta ai 21 centimetri in fuorigioco di Llorente in occasione del gol lampo. Il calcio è uno sport vivo, di movimento e di contatto, e 21 centimetri sono misura andrologica da spogliatoio, non da campo.

Il rettangolo verde ci ha regalato ben altre indicazioni. La curva a inizio partita ha esibito una scenografia con il sottotitolo “In Italia c’è solo una squadra”. Non so se sia vero, di certo col Napoli c’è stata una sola squadra in campo.

Il gol del navarro ha solo accelerato l’ineludibile e gli azzurri ne escono tremendamente ridimensionati, considerando che in due scontri diretti con Juve e Roma hanno rimediato cinque gol senza farne neppure uno. Gli stessi giallorossi, acciuffati al 94’ dal bianconero d’esportazione Berardi, ora dovranno gestire il contraccolpo psicologico di quattro punti concessi ai bianconeri in due partite. Turni che, tra l’altro, avrebbero dovuto essere favorevoli ai giallorossi.

Siamo a un terzo quasi esatto del campionato e Conte ha rimesso in ordine le statistiche: negli ultimi quattro turni con Genoa, Catania, Parma e Napoli, dieci gol fatti e soprattutto zero subiti. Anche quest’ultima colonna sta rientrando nei ranghi abituali, dopo aver allarmato non poco il mister. E i tabellini dicono che la Juve è seconda a un’incollatura, con gli stessi punti dello scorso anno, col secondo miglior attacco (26 contro i 29 dell’inter) e la seconda miglior difesa (10 contro i 3 della Roma). Questa è la squadra che qualche settimana fa contro i veniva dipinta in crisi di gioco e di volontà.

Impossibile fare una classifica dei migliori, quando una squadra gira come un cronografo. Certo, abbagliano per la bellezza i gol di Pirlo e Pogba. Quest’ultimo, 20 anni, gioca da professionista con la leggerezza che in molti non hanno quando giocano al giovedì all’oratorio. Soltanto a pensarla una roba come quella che s’è inventato sul gol è da pazzi. E dire che Reina, gran portiere, è stato decisamente il migliore dei suoi.

Grande Pirlo, monumentale Barzagli, al meglio Buffon: i vecchi leoni hanno mostrato gli artigli. Ma ottimo anche Asamoah e in crescita Isla, alla settima partita in stagione, segno che Conte ha deciso che può contare ancora su di lui. Come Llorente alla nona presenza con quattro gol, tutti pesantissimi. Questo è il giocatore che qualcuno già accomunava a Bendtner e Anelka. Questo qualcuno non era certo il mister e, direi, nemmeno Tevez, che pare apprezzare far coppia con un corazziere che fa a sportellate anche per lui.

lunedì 28 ottobre 2013

Allo Stadium un Genoa incommentabile

Il rispetto dell’avversario non può passare sopra ai principi sportivi, ai valori, alla base della tenzone agonistica. La competitività nello sport è tutto e se una squadra è mal attrezzata, mal disposta e pessimamente assemblata non lo si deve sottacere in nome di chissà quale etica cavalleresca.

Questo Genoa è indegno della serie A. E se si salverà a fine anno è perché il torneo a 20 squadre sta definitivamente mostrando la corda, esibendo contemporaneamente cinque o sei squadre che soltanto fino a qualche anno fa non sarebbero mai state ammesse alla massima competizione nazionale. È il triste risultato della crisi economica ma anche di una miope programmazione del sistema calcio italiano.

Il discorso ci porterebbe troppo lontano, tuttavia riesce più facile parlare dell’incapacità dei Grifoni di esprimere anche il gioco più elementare, piuttosto che celebrare la ritrovata compattezza della Juve. Che pure c’è stata, dando seguito alla confortante partita di Madrid (ah, che ridere, dopo il Clasico di sabato CR7 piange e si lamenta degli arbitri. Che buffo, eh?).

Sarà un caso, ma se cresce Vidal cresce tutta la squadra, il gioco diventa più arrembante, gli schemi trovano fluidità. Anche Llorente ha fatto la sua parte, confermando che col suo arrivo la rosa s’è rinforzata, altroché. Continuando a spigolare sui singoli, oltre a un monumentale Pirlo e a un inutile Buffon (avessi giocato io in porta avremmo vinto lo stesso), una citazione a parte la meritano Bonucci e Pogba.

Il difensore ha concentrato in 90 minuti tutti i difetti di inizio avventura juventina. Svagato, pasticcione, persino un po’ piacione. Troppi palloni sprecati e disattenzioni potenzialmente pericolose. Merita un paio di partite di riposo per tornare nella massima forma quando servirà davvero, cioè nelle ravvicinatissime sfide con Napoli e Real.

Ancora più innamorato di se stesso è Pogba. Che poi, siamo d’accordo, anche noi stiamo prendendo una brutta cotta nei suoi confronti, ma soltanto l’età lo giustifica quando tenta certi ghirigori. Compito del mister fargli capire che i campioni fanno i numeri, ma i fuoriclasse li fanno solo quando servono.

In ogni caso, commentare una sfida quando l’avversario esulta se supera la metà campo è un esercizio di stile sterile. Temo lo sarà anche la sfida infrasettimanale col Catania. Se però gli organi istituzionali non interverranno, dovremo abituarci a commentare sempre più di frequente l’incommentabile.

domenica 20 ottobre 2013

A Firenze un incubo di 15 minuti

Quindici minuti da incubo, ma non illogici. A Firenze la Juve ha concentrato in un quarto d’ora i mali di una stagione. Tuttavia più dei quattro gol in soffio e praticamente tutti con chiare responsabilità dei nostri, quello che stordisce è che fino al 66’ la partita era in controllo e le uniche recriminazioni riguardavano l’incapacità di segnare il terzo gol.

Spiace aver regalato una gioia così alla Viola, ma la preoccupazione è per il futuro, che non è semplicemente quello prossimo di mercoledì a Madrid. L’impressione che se ne ricava a caldo è che la Juve stia soffrendo di mali profondi.

La difesa, tanto per dire il più grave, non tiene più come una volta. Buffon non solo non fa più miracoli, ma prende anche gol evitabili. Il trio Barzagli Bonucci e Chiellini vanno in apnea, il centrocampo non fa filtro. Pogba, pur dall’alto della sua classe, gioca spesso in irresponsabile leggerezza.

Non si spinge più sulle fasce. Asamoah arriva sul fondo con difficoltà (oltre ad aver causato un rigore da denuncia penale, con l’avversario che andava lontano dalla porta), Padoin manco ci pensa. Lichtsteiner è davvero uno dei pochi insostituibili di questa squadra. E non è un bel segno, perché in una squadra che punta ai massimi livelli ci vuole una panchina profonda.

Mi pare però che il dato più preoccupante sia tutto mentale. La Juve non ha più la testa dello scorso anno. Gli alert di Conte oggi si capiscono meglio.

Ora arriva Madrid e un bivio che può segnare una stagione. Se si fa risultato la partita di Firenze entra nel Museo degli Orrori come un episodio, se si perde, dobbiamo ammetterlo: la crisi diventa conclamata. Intanto, la Roma è lontana già 5 punti. Speriamo di non dovercene rammaricare già a ottobre.

martedì 8 ottobre 2013

Il peggior Milan dell'era Berlusconi

Non è un gran momento per Berlusconi, che domenica sera ha dovuto assistere anche a un Milan al punto più basso della sua era. Una squadra senza qualità, sconclusionata, che ha palesemente mollato speranze e allenatore. Una miseria calcistica, detto senza volontà d’offendere, ma sottolineando come storia e tradizione del Milan debbano pretendere ben altro scenario rispetto a quello esibito allo Stadium.

In campo e fuori, Mexes e i cori stupidi e inutili che hanno causato la chiusura di San Siro. Non che, francamente, la nostra curva mi sia piaciuta di più. Dall’allusivo, peloso e per molti versi odioso inno di Mameli cantato durante il minuto di silenzio per le vittime di Lampedusa all’inutile striscione alla fine del primo tempo (“Tribuna: andate, il buffet è pronto”), che sottende il falso assioma per cui per essere tifosi veri bisogna soffrire in piedi con qualche capetto che ti ordini che cosa cantare e che cosa fare. Ma questo è un male soltanto italiano e non è chiudendo i settori che si estirpa. Anzi, si rischia di compattarli. Lo striscione del San Paolo “Napoli colera. E ora chiudeteci la curva” dimostra che quando c’è da schierarsi contro l’autorità, le curve non guardano ai colori.

Si sarà notato che fatico a commentare Juve-Milan. Anche perché non mi sono lasciato abbagliare dal risultato. Ripeto: il Milan è troppo poco per regalarmi emozioni. Sottolineo però le risposte che sono giunte apposta per sminare alcuni malumori sottotraccia.

Il primo, lampante, riguarda Giovinco. L’uomo che non sembrava mai decisivo, scivolato al quinto posto nella gerarchia dell’attacco bianconero. Un gol così bello va dedicato a tutti quelli che si stavano dimenticando di lui. E tra questi non c’è Conte, che dal canto suo ha messo a sedere chi gli contesta che non sa leggere la partita in corso.

Mentre tutto lo Stadium acclamava Llorente, lui ha buttato nella mischia la Formica Atomica, sapendo che la difesa rossonera poteva essere scassinata col gioco a terra, rapido, e quello dopo due minuti dimostrava quanto avesse ragione. Prima ancora s’era inventato un Pogba di fascia che, dopo l’insostenibile timidezza di Padoin, ha finalmente attaccato Constant, mandandolo in bambola e creando l’uomo in più.
Per il resto, ogni critica naufraga davanti al tabellino di sei vittorie e un pareggio su sette partite.

giovedì 26 settembre 2013

Numeri e impressioni


Tredici punti su 15 e questo è molto bene. Cinque vittorie e due pareggi su sette partite ufficiali e questo è altrettanto bene. Dieci gol fatti in campionato, media di due secchi a partita, e questo è davvero okay. Quattro gol subiti, quasi uno a partita, e questo non è buono. Quarta partita a fila in cui si va sotto e questo è proprio male.

Numeri. Si possono prendere e girare come si vuole, ma poi è l’impressione del campo a parlare davvero. Questa non è la Juve che ci fa innamorare. Anzi, a dirla tutta, ci farebbe pure un po’ preoccupare se poi la classifica non cantasse come fa.

Il campionato è davvero di basso livello ma sarebbe forzato dire che quei 13 punti sono figli della mediocrità. Il calendario finora non ci ha fatto sconti e non ce ne farà nemmeno nel prossimo futuro, col derby alle porte e il Milan dopo il Galatasaray, partita chiave del gruppo di Champions. Però c’è qualcosa di incriccato nel magnifico meccanismo della Juve di Conte delle scorse stagioni.

Il gioco scorre meno fluido e senza Lichtsteiner e Asamoah, quando è in spolvero, manca totalmente spinta dalle fasce, quella che scardina le difese avversarie. Si nota una strana propensione al tiki-taka sterile sui trenta metri avversari, nell’attesa di trovare varchi che sono sempre più difficili da individuare.

La difesa imbarca gol impensabili fino a qualche tempo fa. Un po’ perché Barzagli avrebbe bisogno di riprendersi con calma dei suoi acciacchi, un po’ perché Ogbonna fatica a capire gli automatismi dei compagni di reparto, un po’ perché Chiellini fatica a entrare a regime. E qualcosa più di un po’ perché il centrocampo fa meno filtro del solito e Buffon è in una fase critica (gli suggeriamo di mandare un mazzo di fiori all’assistente Preti, perché senza quell’assurda sventolata sarebbe un bersaglio grosso).

Detto questo è senz’altro un bel vantaggio poter lavorare su quello che non va continuando a vincere. Conte lo sa e predica calma. Continua a ripetere che vincere tre scudetti a fila è un traguardo storico. Con una Juve al 100 per cento sarebbe più alla portata, ma c’è tempo per raddrizzare una barca che finora non si è mai davvero stortata.

mercoledì 18 settembre 2013

Quando il cuore si scolla dalla ragione



Dopo una partita siamo già a fare i conti sul girone di qualificazione di Champions. Non una bella prospettiva, perché su quel campo maledetto (dove già l’anno scorso abbiamo inciampato sul Nordsjealland) Real Madrid e Galatasaray vinceranno.

Se non vogliamo spaccarci la testa con la matematica però prendiamo come viene una partita dietro l’altra. Essere in piena forma a settembre non ha senso e la Juve può soltanto crescere. Tuttavia, guardando in simultanea le altre squadre top sui monitor del canale televisivo dove ero ospitato, la differenza – ahinoi – brillava. Mentre il Real asfaltava i turchi, il Bayern, il Psg, il City, lo United si divertivano con squadre ben più di spessore del Copenaghen.

E, inevitabilmente, mi sono tornate in mente le parole aspre di Conte della fine della scorsa stagione. Devo dargli atto, aveva ragione a urlare che la Juve ha un gap che non può essere colmato con due o tre colpi di mercato. Non avevo dato il peso sufficiente a quello sfogo, mi era sembrato addirittura fuori misura. Temo che invece fuori misura fossi io.

Vedremo e non disperiamo, anche se ieri mi si è scollato il cuore dalla ragione. Sbagliare cinque volte da soli davanti al portiere non è un alibi, semmai un’aggravante. Segno di poca lucidità. Come troppi sono i segnali preoccupanti. Chiellini è totalmente fuori fase. Ogbonna è in panico e non ha ancora capito come muoversi. Pogba continua a gigioneggiare, spesso con mossette fini a se stesse. Tevez deve diventare decisivo, perché così rischia di mischiare il fumo con l’arrosto. Ho visto tentativi di rabone e colpi di tacco, anche quando eravamo sotto: inspiegabile. Come è inspiegabile, per me, un cambio Peluso-De Ceglie, se si vuole rimontare uno svantaggio.

Insomma, una serata storta, che viene dopo la partita di San Siro che drittissima non era. Adesso questo periodo va gestito psicologicamente. Non siamo più abituati a inseguire e non si può toppare con le veronesi.

sabato 14 settembre 2013

A San Siro la Juve che Conte non vuole

Una partita brutta, noiosa, lenta. Perché è stata una Juve brutta, noiosa, lenta. E disattenta. Certo, Mazzarri ha fatto dell’Inter una squadra, dimostrando che l’allenatore conta, oltre a sottolineare le vere qualità di Stramaccioni.

Però a San Siro è scesa in campo una delle Juventus più deludenti dell’era Conte e non è merito di Mazzarri. Le motivazioni profonde andranno misurate, ma intanto spiccano alcune valutazioni.

Le fascia destra, che di solito è il nostro punto di forza, ha patito un Lichtsteiner nervoso e poco dinamico e un Isla che ha fatto tirare due sospiri di sollievo a San Siro. Uno per come s’è mangiato un gol fatto, l’altro perché non veste la maglia nerazzurra.

Pirlo, mi fa grondare il cuore scriverlo, ha bisogno di essere aiutato. In campo, perché se non si fa movimento e non ha scarichi, la palla la perde pure uno con la sua classe. Fuori dal campo, perché ha bisogno di tirare il fiato e Conte deve inserirlo nel turn over.

In questo potrà essere utile Pogba, che stasera però andrà incontro a qualche bella lavata di capo da parte del mister. Il ragazzo va tenuto coi piedi per terra e, a fronte di qualche giocata da fuoriclasse assoluto, stasera l’ho visto fare qualche gigioneggiata per lui inusuale.

Tevez è un attaccante di grande livello, sa sempre cosa fare col pallone e ama prendersi le responsabilità. Ma il peso della sua autorevolezza mi pare che accentri troppo il gioco. Lo cercano tutti, sempre, anche quando non è necessario o addirittura quando non si dovrebbe.

Non si può tuttavia sottovalutare il colpo di reni dopo due minuti da un colpo che poteva essere da k.o. (l’errore del Chiello è talmente grande da essere ingiudicabile: non si ripeterà mai più). Pareggiare così è segno di forza mentale. Ed è segno che abbiamo un fuoriclasse di caratura internazionale: Arturo Erasmo Vidal Pardo.

lunedì 2 settembre 2013

La forbice s'è allargata. Troppo


Basta leggere il tabellino: le cinque squadre a punteggio pieno hanno segnato in totale 29 gol e subiti 6, di cui 3 solo la Fiorentina. In pratica, Juve, Napoli, Inter, Fiorentina e Roma hanno piazzato uno score di “partita media” di 3-0.

Lo stesso strapotere della Juve che ha schiantato la Lazio con un 8-1 in 15 giorni parla chiaro: il processo di “portoghesizzazione” del calcio italiano è in avanzatissima fase di radicalizzazione, se pure una squadra di vaghe ambizioni come quella romana è costretta a guardare la Juve col binocolo.

Senza mancare di rispetto ai cugini lusitani, un campionato dove vincono solo Porto e Benfica (e quando nevica in agosto, Sporting Lisbona) rappresenta tutto quello che non avremmo mai voluto vedere da noi.

La realtà poi, Calciopoli o meno, ci ha da molti anni smentito, visto che è dal 2001 che vincono solo le squadre a strisce. Tuttavia, il divario con le piccole finora sembrava netto, ma non abissale come in Portogallo. O, facendo un bel di tutta un’erba un fascio, nella penisola iberica, visto come Barça e Real rastrellano tutte le altre.

Dopo le due giornate iniziali, il panorama sotto questo punto di vista mi pare desolante. La qualità di gioco è talmente scadente che il diluvio di gol (43 solo nella seconda giornata) non è sintomo di spettacolo, ma di lacune spaventose. Sorvoliamo sulla prestazione dei portieri (su tutti, il povero Perin, uno dei giocatori sorprendentemente più sopravvalutati della scorsa stagione). Errori così marchiani e a raffica fanno colore (o orrore), ma non statistica.

La tristezza dei fatti risiede nella qualità generale del gioco delle squadre che non hanno 6 punti (sì, pure del Milan, facendo la media ponderata di quello che abbiamo visto a Verona e col Cagliari).

La forbice s’è allargata ancor di più rispetto allo scorso anno. Con 27 vittorie in 38 partite, quella della Juve mi era sembrata una stagione senza storia. Ma questa mi pare promettere pure peggio. Il rischio è che si deciderà nelle due partite col Napoli, sempre che la banda Benitez non perda la trebisonda, con il girone di Champions che succhierà molte più energie a loro che a noi.

Non vorrei essere costretto a rimpiangere l’era del G-14 e dei progetti di campionati d’élite. In quel caso, non so proprio quante italiane verrebbero invitate.

P.S.: Dopo 20 anni ha segnato a Torino un giocatore con la maglia bianconera numero 10 e non si chiama Alessandro Del Piero. Tevez ha già scritto un pezzo di storia.

mercoledì 26 giugno 2013

Esticazzi



Competizioni nazionali

Campionato argentino: 1
Boca Juniors: Apertura 2003
Campionato brasiliano: 1
Corinthians: 2005
Campionato inglese: 3
Manchester United: 2007-2008, 2008-2009
Manchester City: 2011-2012

Community Shield: 2
Manchester United: 2008
Manchester City: 2012

Coppa di Lega inglese: 1
Manchester United: 2008-2009

Coppa d'Inghilterra: 1
Manchester City: 2010-2011

Competizioni internazionali 

Coppa Libertadores: 1
Boca Juniors: 2003

Coppa Intercontinentale: 1
Boca Juniors: 2003

Coppa Sudamericana: 1
Boca Juniors: 2004

Champions League: 1
Manchester United: 2007-2008

Coppa del mondo per club: 1
Manchester United: 2008

Nazionale Campionato sudamericano Under-20: 1
Uruguay 2003

Oro olimpico: 1
Atene 2004

mercoledì 12 giugno 2013

Higuain come Van Persie

Leggo che Florentino ci sta già rimbalzando: "Se la Juventus pensa di offrire 30 milioni di euro per Higuain è meglio che non vengano, perché 30 milioni non bastano". Sgarbato al punto da far prevedere un'altra estate alla Van Persie per la truppa Marotta.

Poi vedo che per comprare un Signor Qualsiasi come Ogbonna ci si chiude nell'ufficio di Cairo per quattro ore e si esce con un nulla di fatto.

E io non ho più punti fermi. Solo la certezza che sarà un'estate lunga e noiosa.

lunedì 6 maggio 2013

Il pagellone dello scudetto



Buffon 8,5 – Un torneo certamente facilitato da una difesa sempre più super, ma l’erroraccio dello scorso anno col Lecce gli deve aver acceso la lampadina dell’attenzione ed è sembrato badare più al sodo del solito. La parata dell’anno l’ha scelta lui stesso: quella di sul colpo di testa di Emeghara in Juve-Siena 3-0. 

Barzagli 9,5 – Alzi la mano lo spergiuro capace di affermare che ci saremmo aspettati un giocatore del genere quando arrivò dal Wolfsburg. Lucido, sicuro, pulito, intelligente. Nel 2006 è diventato campione del mondo, ma forte così non lo è mai stato.

Bonucci 9 – Poco più di un anno fa usciva dallo Stadium tra i fischi. Uno scempio logico (non si fischia mai un proprio giocatore), ma anche tecnico: Leo ci ha messo poco per dimostrarci chi è davvero. Da quando ha ottenuto un po’ di fiducia, è addirittura diventato il primo play maker della manovra bianconera.

Chiellini 8 – Del monumentale trio di difesa è quello che ha pagato di più assenze e infortuni. Ma la sua assenza s’avverte e pesa. Il gol al San Paolo, poi, nobilita l’intera stagione.

Lichtsteiner 8,5 – Non so quanti polmoni abbia, ma la sua fascia andrebbe rizzollata ogni settimana per tutto il suo arare in su e in giù. Contro il Bayern a Torino si sono sentiti molti sospiri: “Ah, se ci fosse lui!”. Lui segna sempre alla prima di campionato e poi si vince. Consiglio: facciamolo segnare anche il prossimo anno.

Vidal 10 – L’uomo dell’anno, senza alcun dubbio. Con Arturo la Juve è cresciuta, ma pure lui è cresciuto grazie alla Juve. Preso dalla Germania per fare la diga e segar legna, è diventato un leader in campo e fuori. In doppia cifra anche nel tabellino dei gol, le sue reti non si contano soltanto, si pesano: una doppietta alla Lazio all’Olimpico, al Milan, nel derby e il gol scudetto non sono gol qualunque.

Pirlo 8 – Mezzo punto in meno perché lui è il Professore e ci si aspetta sempre qualcosa in più degli altri. Qualcosa ha certamente patito in stagione, forse anche perché gli avversari stanno capendo come ingabbiarlo. Tuttavia, quando la palla transita per i suoi piedi si ha sempre la sensazione che il dio del calcio si apra in un sorriso. Cinque gol su punizione.

Marchisio 8 – Stagione con qualche calo di tensione, senza contare lo scalcagnato schema 3-5-1-1, che lo costringe a giocare fuori ruolo. Sempre al servizio della squadra e se Pogba è sbocciato è anche merito suo che gli ha lasciato spazio. Tre gol al Torino in una stagione valgono una carriera.

Pogba 9 – È nata una stella. Il ragazzone di Lagny-sur-Marne ci ha messo un mesetto per far capire al popolo dello Stadium di che pasta è fatto, ovvero da quando lo scorso 20 ottobre ha trafitto De Sanctis con una legnata da fuori di sinistro e dieci giorni dopo ha regalato una vittoria fondamentale al 47’ del secondo tempo contro il Bologna. Mezzo punto in più per un futuro da invidiare: teniamocelo stretto.

Asamoah 6,5 – La mia personalissima delusione. Ho la sua maglia da luglio e pensavo sinceramente che sarebbe stato il crack di quest’anno, previsione rispettata fino alla Coppa d’Africa, poi è scomparso. Afflitto forse da una preparazione poco mirata e di sicuro da qualche timidezza di troppo, non ha reso come avrebbe potuto. Ma questa può essere una buona notizia: il prossimo anno avremo un Asa in più.

Vucinic 8 – Come mi riesce difficile essere lucido, parlando di Mirko, uno che riesce a farti innamorare e incazzare a mille nel giro di cinque minuti. Tuttavia quando lui manca là davanti si sente, in termini di manovra e di personalità. I critici ironizzano dicendo che gioca in pantofole: mettesse più spesso le scarpe sarebbe da Pallone d’oro.

Matri e Quagliarella 7,5 – Li metto insieme, per non ripetermi. Entrambi sempre a un passo dall'essere indispensabili e ogni volta si ritrovano seduti in panca. Chissà cosa frulla nella loro testa. In quella di Conte è abbastanza chiaro, invece: non sono loro i suoi attaccanti tipo. Tuttavia, insieme sommano 15 gol, molti pesanti come i due all’Inter a San Siro. O come quello psicologicamente importantissimo a Verona che Matri considera il più bello di tutta la sua carriera. Mezzo punto in più perché a me tutti e due danno l’impressione che potrebbero servirci anche il prossimo anno.

Giovinco 6 – Mi dispiace moltissimo essere così severo, ma se c’è uno che ha fallito la stagione è proprio Seba. Lasciamo i conti finanziari agli amministratori e concentriamoci sul campo. Tra le punte è stato quello più spinto da Conte e contemporaneamente quello che ha lasciato meno il segno. Evanescente e troppo leggero in Europa, è quasi sempre stato schierato prima punta, quando fisico e passo non glielo consentono. Sette gol sì, ma quanti decisivi?

Caceres, Padoin, Peluso 6,5 – I portatori d’acqua, i bravi soldatini, come li chiamerebbe Cassano (che, per inciso, con la sua arte, sta affogando a -30). È gente così che esalta i campioni.

Giaccherini 7 – Inutile dilungarsi su Giaccherinho: ha segnanto il vero gol scudetto all’ultimo secondo di Juve-Catania, l’emozione più forte di tutta la stagione 2012-13.

Isla, De Ceglie s.v. – Per un motivo o per l’altro i due non sono giudicabili. Certo, Mauricio ha avuto più occasioni di Paolo. E le ha sprecate.

Bendtner e Anelka 8 – Una stagione surreale per una coppia surreale, ma non una parola di troppo o mezza polemica. Muti e rassegnati: bravi, per questo meritano un 8. Poi il danese si è andato a sfogare in patria, ma ci era stato presentato come un pazzoide e nessuno qui l’ha mai visto in mutande. Pare che ci abbia dato dentro durante la festa scudetto: un futuro da pr.

Conte 10 e lode – Nella storia da capitano e da allenatore, è già un capitolo da enciclopedia, ma vincere lo scudetto due volte a fila ti spalanca le porte dello J-Museum. Questa, senza i Platini, gli Zidane, i Del Piero verrà ricordata come la Juve di Conte. La lode se la guadagna per le dichiarazioni post vittoria, che possiamo parafrasare così: “L’Italia è troppo piccola per noi”. Vincere è la vera condanna bianconera, altro che Palazzi.

martedì 30 aprile 2013

Che cosa resterà di questo campionato?

Ci siamo, manca un punticino e forse neanche. Che cosa rimane di un campionato talmente dominato da togliere quasi il gusto?

Innanzi tutto, la sensazione che sono due a fila ma, visto lo stato degli avversari, la prospettiva non si ferma qui. Un paio di innesti (Llorente è già uno? Di certo, migliora la rosa: fuori Bendtner e/o Anelka e dentro chiunque altro e già si sta meglio) e, al momento, in Italia non scorgo avversari capaci di restare in scia.

Poi, mi pare che la stagione abbia risposto in modo quasi irridente a chi sosteneva che la Juventus non avrebbe retto il doppio impegno campionato coppa. Questa stagione finirà con molti più punti degli 84 dello scorso anno, con un distacco molto più abissale sulla seconda, rispetto al +4 sul Milan dell’anno passato. Con la superba aggiunta di un quarto di finale di Champions che ad agosto sembrava davvero un traguardo super. Chiaro che cammin facendo ci si ingolosisce, ma non perdiamo le prospettive: arrivare tra le prime otto e uscire per mano di questo Bayern è un risultato da applausi sinceri.

Mettiamoci una finale di Coppa Italia sfiorata per una manciata di secondi e il quadro della forza (anche mentale) di questa rosa è completo.

Tra le note di cronaca con sfumature storiche, ci metto poi lo sbocciare definitivo di uno che diventerà un giocatore da ricordare: Paul Pogba. Talenti così in giro se ne vedono di rado ed è bello persino seguire il modo in cui Conte lo sta coltivando, come si fa con i fiori rari. Troppo sole o qualche goccia in più d’acqua possono appassirlo e il bravo floricultore lo sa e dosa complimenti a panchine apparentemente inspiegabili, salvo poi cambiare modulo tutto per lui.

A proposito di modulo, la stagione dichiara senza mezzi termini che l’ortodossia al 3-5-2 è da archiviare. Gli avversari hanno capito tutti come aggredire le fonti di gioco e il prossimo anno non può essere affrontato così. Questo spiega la neanche tanto segreta intenzione di Conte di tornare al vecchio amore, il 4-2-4, gettandosi sul mercato alla ricerca di ali all’altezza. L’importante è non ricadere in una nuova ortodossia e considerare i moduli per quello che sono, ossia un mezzo e non il fine, che rimane il vincere.

Lasciatemi finire con una chiosa sul un giocatore che, a distanza di due anni, mi pare ancora incredibile che vesta la nostra maglia, Andrea Pirlo. La sua classe, il suo talento, la gioia che ci regala ogni volta che il pallone gli arriva tra i piedi vanno preservati. Per questo bisogna studiare moduli che non lo logorino e, soprattutto, trovare il modo di offrirgli delle pause, fisiche e mentali. Un vice-Pirlo non esiste al mondo, forse l’unico poteva essere Verratti, ma ormai ha preso altre strade ed è inutile calcolarlo. Tuttavia bisogna escogitare il modo per allungare la carriera ad Andrea: un'altra stagione come questa non è ipotizzabile, anche in prospettiva Mondiale. Questo è uno dei compiti principali del Mister, per il bene della Juve, ma, senza esagerazione, anche della Storia del calcio italiano.

martedì 16 aprile 2013

Ora organizziamo la festa

L’unico dubbio rimane quando organizzare la festa scudetto nel modo più perfido. Se all’Olimpico dopo il derby o in casa col Palermo, il 5 maggio, data che regala sempre quell’eccitante prurito. Purtroppo, non dipende solo da noi, sennò la data preferita si poteva mettere ai voti online, che va di gran moda.

Personalmente, mi stanno entrambe bene, anche se mi pare più verosimile la festa casalinga. Conviene prepararsi.

Per il resto, l’inusuale Monday Night ci ha riaccomodato ai ritmi nostrani, dopo la centrifuga bavarese. Il primo tempo della Lazio sembrava una partita da torneo estivo. Se affronti la Juventus con lo stesso furore di un sabato pomeriggio al centro commerciale ne esci come minimo con le ossa rotte. Vidal ne ha fatti due, ma il Festival dell’Errore Madornale Sotto Porta (di qua e di là) rende bugiardo persino lo 0-2.

Bravo anche Conte a improvvisare un modulo inedito contro una squadra senza difesa, ma la differenza tra Juve e Lazio è davvero tutta nel ritmo e nell’intensità.

Peccato che Robben e Ribery non avessero il passo dei tempi di saldi degli aquilotti. Però m’è piaciuto il modo in cui quella sconfitta sia stata digerita e metabolizzata in pochissimi giorni. Speriamo sia pure utile, soprattutto ai piani alti della Società.

Certo è che la sensazione è quella che con un paio di innesti all’anno questa squadra possa davvero monopolizzare per anni e anni l’albo d’oro di un campionato troppo inferiore. Sputare nel piatto tricolore, per agognare a tutti i costi lontani trionfi continentali, mi pare per ora un esercizio tafazziano: godiamoci questo scudetto (e i prossimi che arriveranno) e brindiamo a una squadra così forte da girarsi indietro e non vedere nessuno.

domenica 7 aprile 2013

Ora concentriamoci sul sogno

Dodici punti, che potrebbero diventare meno dopo stasera e la partita tra Napoli e Genoa. E ancor meno dopo Milan-Napoli di domenica prossima. Sono i punti che separano la Juve dallo scudetto.

Dopo aver sofferto in modo strano con uno scassato Pescara, la Juve si trova ad aver disinnescato le prossime trappole: Lazio, Milan e Torino, le tre prossime avversarie, sono ininfluenti. Basterà fare punteggio pieno con Palermo e Cagliari in casa e Atalanta e Samp fuori nelle ultime quattro di campionato. E probabilmente basterà pure meno.

Campionato archiviato, rimane aperta soltanto la variabile su quando i bianconeri diventeranno campioni matematicamente. La quart’ultima, in casa con il Palermo potrebbe essere la partita della festa scudetto. La data è propizia: il 5 maggio.

Ora concentrazione massima sul sogno. Mercoledì tutti allo Stadium a far sentire ai ragazzi la gratitudine per una stagione magnifica. Servirà una Juve molto più veloce e meno sulle gambe rispetto a quella spenta col Pescara, ma se poi il sogno si materializzasse, ci sarebbe addirittura la possibilità di concentrarsi solo sulle ultime tre partite di coppa, visto che il campionato è già in bacheca.

mercoledì 3 aprile 2013

Una sola speranza: l'Alzheimer del Kaiser

Diciamocela così. La peggior Juve dell’era Conte ha affrontato il Bayern nella sua veste migliore e non ne è uscita già eliminata. Rimonte dallo 0-2 non sono impossibili e gli esempi sono dietro l’angolo, vero Milan? Tuttavia la metafora contiana del grattacielo che non si costruisce con paletta e secchiello è allarmante. E tragicamente vera.

La distanza con i migliori d’Europa (perché questi lo sono, certamente più del Real, molto probabilmente più dello stesso Barça attuale: due finali in tre anni le fanno soltanto i grandissimi) è ancora molto grande e ampiamente prevista. Difficilmente mercoledì prossimo si potrà realizzare il sogno della remuntada (chissà poi perché ormai, dal triplete in poi, si parla soltanto spagnolo).

Prendiamone atto e niente piagnistei. Nessuno, sinceramente, aveva messo in preventivo la coppa con le orecchie. Si sapeva che c’erano squadre più attrezzate e ai quarti abbiamo beccato la più forte di tutte. Applausi al Bayern e venga pure allo Stadium che sarà una bolgia. Poi applausi anche alla Juve, comunque finisca, perché una stagione così è da incorniciare. Ricordate quelli che qualche mese fa sostenevano che la Juve non poteva reggere le due competizioni? In campionato ha più punti dello scorso anno, quando giocava solo in Italia.

L’unico appiglio che mi concedo è il colpo di Alzheimer di Franz Beckembauer. Solo uno scatto epocale d’orgoglio può riempire un gap che oggi pare incolmabile. Sparare sul pianista è il modo più diretto per farlo scoccare. Che poi si può mettere in croce Buffon per i due gol, ma il tabellino recita: tiri Bayern 21. Se gli altri 19 non hanno gonfiato il risultato qualche merito deve pure averlo il portiere, no?

Ma basta pensare all’Allianz Arena. È già ora di concentrarci sullo Stadium. Comunque vada sarà un successo.

sabato 23 marzo 2013

domenica 17 marzo 2013

Qualcosa non quadra nei campionati europei

In Bundesliga il Bayern ha 20 punti di vantaggio sul Borussia, in Premier League lo United domina con un +15 sul City, in Spagna il Barcellona è avanti di 10 sul Real, in Ligue1 il Psg ha quattro punti di vantaggio e una partita in meno rispetto al Lione. In Italia sappiamo.

Qualcosa non quadra. Siamo a metà marzo e i più importanti campionati continentali sono tutti virtualmente chiusi. Negli anni Novanta le 14 squadre più influenti d’Europa stavano progettando una Superliga in contrasto con la Uefa. Idea che politicamente non poteva che naufragare.

Tuttavia quello che si sta stagliando all’orizzonte è, di fatto, proprio un torneo d’elite. Se guardiamo le squadre citate, le prime e le seconde (tranquilli: in Italia presto lo sarà il Milan), sono tutte quelle che hanno partecipato alla Champions e, salvo il City, quelle che sono arrivate alla fase a eliminazione diretta.

È l’inevitabile conseguenza della spartizione dei diritti Champions che arricchisce sempre di più le squadre più forti e allarga una forbice alla lunga incolmabile con le altre, creando tornei noiosi, ma quel che più conta inappetibili dal punto di vista commerciale.

Questo porterà necessariamente a un ripensamento su scala continentale dell’organizzazione dei campionati, che così come sono rischiano di essere fuori dal tempo. La Juventus è stata brava a reinserirsi in questo circolo, ma farlo non è affatto semplice e, infatti, i nomi che circolano sono sempre più ristretti. Bisogna dire che c’è riuscita anche grazie all’insipienza dell’Inter che in soli tre anni ha sperperato il patrimonio della vittoria della Champions. Ma senza qualche harakiri, non c’è modo di accedere al cerchio magico.

Chi è avanti lo sarà sempre di più, basta che amministri coscienziosamente le immani risorse che derivano dalla Champions. Si calcola che soltanto per l’accesso ai quarti di finale la Juve metterà a bilancio 70 milioni in più. Ovvero, il famoso top player. E tanti saluti ai vari Napoli d’Europa che non potranno mai e poi mai mantenere i loro Cavani.

Soltanto Platini può invertire questo inarrestabile flusso riuscendo a imporre la sua visione di Champions all’antica: ovvero un torneo solo tra campioni nazionali. La ridistribuzione delle ricchezze sarebbe perciò più armonica. Democratica non ancora e forse mai, ma almeno vedremmo giocare per il primo posto qualche settimana in più.

venerdì 15 marzo 2013

Peggio del Bayern solo l'andata in casa

 

C’era soltanto un sorteggio peggiore: il Bayern con la prima in casa. I tedeschi vengono da due finali in tre anni, credere che l’esperienza in una competizione così non conti vuol dire non conoscere il calcio. Anzi, la vita, visto che in ogni mestiere l’attitudine mentale è fondamentale.

La Juve invece arriva ai quarti di finale da absolute beginner e l’impatto con l’Allianz Arena sarà simile a un frontale con un tir. Niente di comparabile a quanto affrontato finora dal ciclo Conte. D’altronde, se si vuole diventare grandi bisogna passare molti esami e questo è quello di laurea. Qualificarsi contro un Bayern assetato di vendetta dopo la beffa della finale casalinga dello scorso anno vuol dire accreditarsi di botto da top team europeo.

E, a proposito di finali perse, proprio Juve e Bayern, col Benfica, detengono il record assoluto: cinque. E dopo Real e Milan sono proprio i tedeschi ad averne giocate di più, nove. Tuttavia, una squadra che può permettersi il lusso di lasciare in panchina Robben e prenotare Guardiola, l’allenatore dei sogni di tutto il mondo, vuol dire che gioca in un’altra categoria.

Oltre tutto, è quella che tatticamente è meno abbordabile dal gioco contiano, essendo praticamente speculare, ma con molta qualità in più. Sono pessimista? No, sano realismo. La fede, poi, è altra cosa. Ragionevolmente alla Juve viene caricata la responsabilità continentale di evitare due semifinali con sole tedesche e spagnole. Non so che cosa possa significare, ma speriamo conti qualcosa. A questo punto qualsiasi cosa serve.

lunedì 11 marzo 2013

Profumo di scudetto


L’intensità del gol di Giaccherini è pari a quello di Borriello a Cesena dello scorso 25 aprile. Anche il profumo è lo stesso ed è quello di scudetto, alla faccia della scaramanzia. Galliani prima e Allegri poi avevano provato a gufare: la Juve ha vinto al 100 per cento o giù di lì. Ora è una fotografia.

Davvero possiamo avere paura di questo Napoli spento nella testa e nelle gambe, dove l’unico campione capace di fargli fare il salto di qualità, Cavani, non segna più manco su rigore? O dobbiamo temere il Milan di Mexes e Yepes che corre, corre e si ritrova a 11 punti di distacco? Le altre neppure le nomino, a cominciare dalla più bella Inter dal 2006.

Campionato vinto per “no contest”. Si sapeva. Qui lo si diceva neanche a voce troppo sommessa fin da settembre, salvo poi essere simpaticamente bollato da Juventus Channel come segretario della Brigata Sboroni. Carica di cui vado fierissimo (grazie, Paolo Rossi!).

Mancare l’obiettivo ora sarebbe talmente delittuoso che direi impossibile neppure volendo. Mancano dieci partite, dovremmo perderne quattro. Un cataclisma da aggregare a un punteggio pieno avversario. Ovvero: ci fermano solo se i Maya ci azzeccano con qualche mese di ritardo.

Ora i gufi in servizio permanente effettivo sono costretti a citare la rimonta della Roma sull’Inter del 2010 o il diluvio di Perugia dove si completò la rimonta della Lazio. Ma, intanto, quell’anno l’Inter poi fece il triplete, mentre quella Lazio era composta dai vari Nedved, Mihajlović, Veron, Simeone. Insomma, una signora squadra, niente a che vedere col Napoli bollito di oggi.

Dunque, ci apprestiamo ad affrontare un aprile di fuoco nel migliore dei modi. A Bologna basta non concedere punti alle inseguitrici e ci si può tranquillamente concentrare sulla Champions. E che l’urna ci eviti le tedesche e, magari, ci regali il Psg di Ibra.

giovedì 7 marzo 2013

Quando non ci credevano all'altezza

Era il 5’ minuto di Nordsjælland – Juventus. I bianconeri avevano subito il quarto gol del torneo e si apprestavano a tornare dalla Danimarca con il terzo pareggio in tre partite. I commenti cominciavano a fioccare: “La Juve non è attrezzata per due competizioni”. Qualcuno ci stava anche credendo, sennonché, da allora, 490 minuti giocati, 14 gol fatti e neanche più uno subito.

In otto partite, cinque vittorie e tre pareggi. Siamo con Borussia e Schalke 04 (che però ha una partita in meno) le uniche imbattute del torneo. Perciò: occhio alle tedesche e noi avanti così fino alla fine.

È incredibile come in un anno e mezzo Conte abbia trasformato questa squadra, che partita dopo partita si dimostra sempre più matura. Col Celtic c’era il motivato rischio di farsi male da soli e una chiave perfetta per evitarlo: segnare entro la prima mezzora. Detto e fatto.

Ora Quagliarella si ritrova in testa alla classifica dei marcatori bianconeri con 11 reti complessive (con Giovinco, che però ha giocato 35 partite contro le 22 di Fabio), di cui 4 in Champions.

E parliamo del discussissimo reparto d’attacco? In Europa, su 17 reti complessive, ne ha siglate 10 (Quagliarella 4; Vucinic, Matri e Giovinco 2), che non mi pare un bottino tanto magro, in 8 partite. Pare che l'Europa giovi più del nostro campionato.

Al punto che, a mezza bocca, si comincia anche ad ammettere che, tutto sommato, ora tutto è possibile. Forse anche a prendere in considerazione una coppia poco consueta, ma davvero molto ben assortita come quella formata da Matri e Quagliarella. Quanto meno, è un’alternativa in più, e non di ripiego. Matri regala una profondità che nessun altro del reparto garantisce, mentre Fabio è pazzo a sufficienza da sorprendere pure se stesso. Si vede che insieme si trovano bene. Prego, insistere.

Infine, onore delle armi ai tifosi del Celtic: dall’inizio del secondo tempo hanno cominciato a cantare e non hanno finito più. Applausi anche per averlo fatto a torso nudo. Per questo non sono certo un esempio da imitare, ma tanta tenuta non si spiega soltanto in galloni di birra.

sabato 2 marzo 2013

Il peso piuma degli attaccanti

Napoli - Juve ha risposto a molte domande nell’aria. Anche alla più fumosa, che volteggia da mesi: dove sarebbe la Juventus con un attaccante vero come Cavani. Se è quello della super sfida del San Paolo, esattamente dove è adesso.

Che è poi il paradosso dolce e amaro dei bianconeri: essere irresistibili nonostante si ostinino a giocare con un rebus di punta.

Continuo nel mio oramai stucchevole refrain: semmai Giovinco sia una punta, di certo non è una prima punta. Non ha i movimenti, la mentalità, la capacità di tener palla per far salire la squadra, non “sente” i movimenti della difesa avversaria quando scatta la tattica del fuorigioco, non sa giocare spalle alla porta. Quando ha la palla fa sempre qualcosa di troppo o cade. Poi i tifosi mugugnano, ma non è colpa sua se si ritrova lì davanti.

Con il Vucinic di queste ultime partite, poi, non ha proprio possibilità di dialogo. E Mirko si porterà il peso di quella pazzesca occasione fino a quando lo scudetto non sarà matematico. Perché se il campionato rimane in questo stato di coma cosciente è soltanto per l’incapacità della Juve di matarlo nel primo tempo.

Uscire dal San Paolo con un punto (anzi, quasi due, visti gli scontri diretti) e l’amaro in bocca la dice lunga sul colossale gap tra noi e gli altri.

Un gap, per una volta me lo si conceda, anche di trattamento da parte dei media. Se l’entrata su Lichtsteiner fosse stata fatta nell’area avversaria o se la gomitata Chiellini invece di prenderla l’avesse data, nessuno avrebbe parlato della partita, ma soltanto del "graditissimo" (da Mazzarri) Orsato.

Il dopo partita di Sky è sempre più ricco di buonumore. A un Caressa che chiude il collegamento con il risultato: “Napoli batte Juventus 1-1”, risponde la distratta conduttrice che riesce a dire a uno stranamente sorridente Conte: “Noi non siamo abituati a parlare di arbitri”. Ah no? Qualcuno le giri le registrazioni delle puntate precedenti. Infine la perla di Marchegiani, che di solito è il più lucido della congrega: "Sembrava una brutta gomitata, invece l'ha preso con l'avambraccio".

Tuttavia, sono orgoglioso di come la Juve non abbia degenerato in un’occasione che altri avrebbero messo come foto di sfondo del cellulare.

lunedì 25 febbraio 2013

Su quei fischi a Seba



Esattamente un anno fa eravamo alle prese con i fischi a Leo Bonucci. Ora quelli che l’acclamano come pilastro insostituibile della difesa a tre di Antonio Conte e dell’Italia di Prandelli se ne saranno dimenticati, ma Leo uscì dalla partita col Chievo di inizio marzo in una selva di buuu.

Questo per dire che lo sfogo di Antonio Conte contro coloro che mugolano verso Giovinco è giustificatissim0: si fischia un giocatore che non si impegna, un lavativo, ma mai un ragazzo che ce la mette tutta e che, i numeri non sono opinioni, ha segnato 11 gol finora, miglior marcatore bianconero di stagione.

Che poi il suo rendimento stentato sia tutta colpa sua è tutto da dimostrare. Francamente, mi sembra l’uomo sbagliato nel posto sbagliato. Nel calcio contemporaneo, essere alto 160 centimetri e giocare da prima punta è un’impresa accessibile soltanto a Leo Messi nei momenti di forma migliore. Seba è una seconda punta naturale. Gli piace partire da sinistra, ma se viene messo in campo con Vucinic, che ha gli stessi movimenti, diventa naturale che si pestino i piedi.

Poi i due sembrano parlare davvero lingue diverse, e non mi riferisco a italiano e montenegrino. Quando Mirko ha di fianco Matri o Quagliarella la manovra fluisce molto più lineare. Loro sì che sono prime punte. Addirittura io azzarderei un tridente o, in alternativa, Seba esterno del centrocampo a cinque, nel 3-5-2 contiano. Ma prima punta proprio no.

Comunque sia, possiamo fare tutte le ipotesi e le illazioni del caso, ma fischiare una squadra che ha sette punti di vantaggio sulla seconda (poi magari saranno 4 stasera, ma non cambia) si deve solo applaudire. Ogni altro rumore è sgradevole sottofondo.

Ma concentriamoci su venerdì. Qualunque sia il risultato di Udinese – Napoli, la Juve ha la certezza di uscire dal San Paolo da capolista. Il punto però è diverso. Una grande squadra non affronta una sfida così facendo i conti al risparmio. Perciò mi son piaciuti molto Pogba e Lichtsteiner che ieri sono venuti negli studi di Juventus Channel a parlare di vittoria a Napoli. Questo è l’approccio giusto per tramutare quest’orrendo campionato spezzatino in un campionato bollito.