In un solo anno siamo passati da una Juventus che faceva piangere a una
Juventus che ci fa piangere di commozione. Incredibile. Se davvero sono
le esperienze forti che fanno crescere, ieri sono uscito dallo Stadium
diverso.
Non sono mai stato un delpieriano di ferro. Lo sapete.
Ma mentre lui faceva il giro di campo più trionfale che storia del
calcio conosca, ho capito quanto la mia vita sia indissolubilmente
intrecciata alla sua carriera. Il suo gol alla Fiorentina di 18 anni fa è
vivido nella mia mente, ma quando accarezzava quel pallone che avrebbe
aperto il ciclo della Juve lippiana, io non avevo neppure incontrato la
donna che sarebbe diventata mia moglie. A pensarci bene, facevo pure un
altro lavoro e, comunque, non scrivevo di calcio. Insomma, ero un altro e
lui stava già diventando lui.
Entravo nei trenta quando lui
inventava i suoi gol alla Del Piero e poi, nel giro di due anni, ci
portava in cima all'Europa e al Mondo intero. Quando infilò la porta del
River Plate, per colpa del fuso orario, ero in redazione, non scrivevo
di sport e non c'era Internet. Ricordo come fosse ora le continue
telefonate per tenermi aggiornato e il solenne giuramento dopo
quell'infernale giornata: mai più avrei trascurato così la Juventus. Una
delle poche promesse mantenute della mia vita. La donna che sarebbe
diventata mia moglie, intanto, aveva una scrivania qualche piano più su.
E stava con un altro.
Quando lui s'infortunò, l'8 novembre 1998,
l'avevo conquistata (o forse lei aveva conquistato me, vallo a capire).
Lei viveva a casa sua, io a casa mia. Non avremmo mai immaginato che
dopo 14 anni avremmo avuto due figli e metà della vita condivisa.
Poi lui tornò, faticosamente. Sembrava non riprendersi mai da quella
maledetta lesione al crociato. Fui tra quelli che ne invocavano
l'accantonamento, ma mi commossi quando segnò al Bari, nel febbraio
2001, dedicando il gol al papà mancato pochi giorni prima. Mia moglie
aveva già una bella pancina e portava in grembo i nostri gemelli. Dopo
una vita da figlio, stavo cominciando a capire che cosa significhi
essere padre.
A Manchester, prima della maledetta finale 2003, il suo manager di
allora mi confidò: Alex ha sognato che vince 1-0, gol suo. Vissi tutta
la partita nell'attesa di quel gol che non arrivò mai. Ma fu la molla
per scrivere il mio primo libro, “Dieci scudetti per una coppa”.
Ero
allo stadio quando contro il Brescia segnò il 100° gol in A e quando
fece la rovesciata che permise a Trezeguet di segnare contro il Milan il
gol che valse il 28° scudetto ero in uno studio televisivo. Una delle
prime volte davanti alle telecamere. Sbracai letteralmente di fianco a
Pierino Prati, uno che nella vita aveva provato la gioia di fare una
tripletta in una finale di Coppa dei Campioni. Grazie ad Alex, mi sentii
un vincente.
Intanto Capello tirava e mollava nei suoi
confronti e io sentivo che la ragione mi portava dalla parte
dell'allenatore, mentre il cuore continuava a grondare di delpierismo.
Vederlo trattato come un giocatore qualsiasi mi feriva.
Poi
arrivò la serie B. Non è necessario sottolineare che cosa significhi per
uno juventino. Ero in tribuna stampa quando contro il Frosinone segnò
il suo 200° gol in bianconero e quando contro il Bari giocò la
cinquecentesima partita da professionista. Mio figlio, ormai in età da
capire la bellezza del calcio, ricevette la sua prima maglietta col
numero 10 di Alexdelpiero (tutto attaccato), con autografo. Ogni tanto
la tira fuori dall'armadio e la rimira come una reliquia.
Il
resto è cronaca, seppur all'ingresso del mito. Da due mesi circa il mio
ragazzo mi chiede perché il Capitano debba smettere di giocare nella
Juve. Ho provato a spiegarglielo, ma non sono riuscito a essere
convincente. Proprio per niente. E ieri, nel giorno della sua Cresima,
ha visto il Capitano, che ora è suo quanto è mio, salutare per sempre il
pubblico. Anzi, il suo popolo.
Sugli spalti in tanti
piangevano, anche in tribuna stampa. Il perché è presto detto: se anche
dovessimo trovare un altro Del Piero domani mattina, mio figlio
piangerebbe al suo ritiro con suo figlio in braccio. E io, nonnetto
rincoglionito, direi al mio nipotino: “Sii fiero di essere juventino,
certe leggende le vedi una volta nella vita. Anche se per me è la
seconda: io ho visto Alex Del Piero”.