Provo a immaginarmi al Washington Post da una vita. Ho meritato un paio di premi Pulitzer e, già che ci sono, il World Press Photo. Come Bob Woodward e Carl Bernstein nel 1974 con Richard Nixon, ho fatto cadere un Presidente corrotto. Insomma, sono un top assoluto, un giornalista riconosciuto e rispettato nel mondo, modello aspirazionale di tutte le nuove generazioni di cronisti.
All’improvviso, il Post decade e mi ritrovo un nuovo editore e una girandola di nuovi direttori, al posto del mitico Editor Benjamin C. Bradlee, che mi guidò per una vita. Editore e direttori che, prima di ora, hanno guidato al massimo la Provincia Pavese (con tutto il rispetto).
Come faccio a seguirli, se mi chiedono di fare un pezzo strappacuore ad Avetrana? Che rispondo loro se mi mandano a intervistare Belen e Corona, sul loro imminente matrimonio? Come faccio a far capire loro che, mentre il Maghreb è in fiamme e il momento è epocale, non possiamo dedicare l’ennesima prima pagina a Ruby?
Mi sono messo nei panni di Alex Del Piero, campione del mondo per nazioni e per club, finalista all’Europeo, bi-campione europeo Under 21, vincitore di Champions, Supercoppa europea e 7 (sette!) scudetti.
Da cinque anni a questa parte, si ritrova a confrontarsi prima con una dirigenza che al massimo aveva organizzato il Roland Garros di tennis, poi con allenatori mai vincenti. L’unico con un palmares simile al suo, da giocatore, è stato Ferrara, ma precipitato alla Juve all’esordio assoluto in panchina (oltre all’aggravante che fino al giorno prima era un suo pari nello spogliatoio).
Come possiamo pretendere che il suo ruolo non sia ingombrante? Sento da più parti che dovrebbe farsi da parte, per non creare disequilibri nello spogliatoio. Lui dovrebbe farsi da parte? Qui si stanno pericolosamente invertendo le prospettive: non è lui che deve smettere di essere quel che è, piuttosto gli si deve dare una guida all’altezza. Non lo si può far guidare da un allenatore (e un direttore generale) che vanta come traguardo massimo un quarto posto nazionale. Lo stesso si può dire del Presidente, che ha il merito più grande nel cognome.
Essere campioni alla Juve sta diventando un difetto o un impiccio. È questa la ricaduta più abnorme di una crisi che, se così fosse, sarebbe davvero irreversibile.
30 aprile 1973, monta lo scandalo Watergate. Carl Bernstein, secondo a sinistra, e Bob Woodward discutono con Katharine Graham, publisher del Washington Post, Benjamin C. Bradlee, executive editor (a destra, seduto) e Howard Simons, managing editor.
lunedì 28 febbraio 2011
domenica 27 febbraio 2011
Se non ora quando? (A-Team su LaStampa.it)
Capolinea per il Mister. E questi sono soltanto alcuni dei motivi lampanti per cui serve un cambio immediato. Mi limito ai gelidi numeri, il resto l'abbiamo fresco negli occhi.
- Settimo posto, con una partita in più del Palermo.
- Otto sconfitte, sette contro squadre che seguono in classifica: Palermo, Parma, Udinese, Bologna (in casa); Bari, Napoli, Palermo, Lecce (fuori).
- 41 punti in 27 partite (1,5 di media).
- Vinte solo 11 partite su 27.
- In casa, su 13 partite sono di più quelle non vinte: 7 (4 perse, 3 pareggiate).
- Nel 2011, 9 punti in 10 partite (media: 0,9).
- Nel 2011, 6 sconfitte in 10 partite.
- 34 gol subiti in 27 partite, cioè una media di 1,25 gol a partita.
- 21 gol subiti in 13 partite all’Olimpico (1,6 in media). Peggior difesa casalinga del campionato.
giovedì 24 febbraio 2011
Ieri ha vinto ancora Mou
Quanto vale un allenatore? La domanda che si presta sempre a risposte diverse (Platini non riuscì a dire oltre il 20 per cento, quando pure era allenato dal Trap e da Michel Hidalgo), torna d’attualità dopo la caduta dell’Inter di ieri. Il raffronto con la finale di maggio è raggelante.
È chiaro che confrontare due squadre dopo due campagne acquisti è ardito (e non dimentichiamo che a Madrid non c’era Ribery, squalificato), ma anche stavolta - bisogna ammetterlo - il vero vincitore di Inter - Bayern è stato Mourinho.
A Mou si può rinfacciare qualsiasi cosa: che sia allo stadio evolutivo più basso della simpatia umana, che sia un provocatore, un irriconoscente, un arrivista, un difensivista e un catenacciaro. Quello che volete, ma non che non sappia far rendere le sue squadre al 101 per cento.
Leonardo invece è un allenatore onesto e l’Inter è tornata sulla Terra. Non tanto per il risultato, che come spesso accade si risolve negli episodi (e quelli a sfavore dei bavaresi sono ancora marchiati sui pali), ma proprio per l’atteggiamento e la disposizione in campo in tutto questo 2011. Perché le vittorie dell’Inter di Leo non devono trarre in inganno: questa è una squadra molto più debole mentalmente di quella dello scorso anno. In un campionato mediocre come quello italiano può anche bastare quest’Inter, ma in Europa son sberloni.
Lascia sistematicamente il secondo tempo agli avversari, s’allunga in 70 metri di campo tra la difesa e l’attacco, ha perso l’intelligenza di Sneijder (questo è quello vero, non quello dello scorso anno), perché Cambiasso ha smesso di correre per lui. Eto’o tiene insieme la baracca, ma l’anno scorso, adattandosi a giocare sulla fascia, era molto più utile: Leonardo non ha la forza di chiedergli ciò che era riuscito a imporgli Mou.
Lo scorso anno, complice la campagna stampa pro-Mou (che si era scientificamente conquistato, altro che manette!), l’Inter dava sempre l’impressione di scendere in campo già sull’1-0. Oggi per cominciare la partita in vantaggio ci vuole l’arbitro Celi.
Perciò, stavolta alla domanda iniziale, una risposta c’è: è la differenza che passa tra una vittoria in finale e un’eliminazione agli ottavi.
mercoledì 23 febbraio 2011
Krasic è un dilettante
La madre di tutte le simulazioni. Dopo questa, tutto il resto è noia.
martedì 22 febbraio 2011
Un nuovo idolo inglese
Dopo Milan - Tottenham, BSkyB, la tivù a pagamento inglese, ha passato alcuni frammenti colti dalla televisione italiana. E ora in Inghilterra hanno un nuovo idolo. (Si consiglia la visione da 4:50 e si sconsiglia la visione ai minori).
lunedì 21 febbraio 2011
domenica 20 febbraio 2011
Sognavo un allenatore (A-Team su LaStampa.it)
- Sognavo un allenatore che alla vigilia del match con una neopromossa e/o pericolante non s’azzardasse a definirla “partita della svolta”.
- Sognavo un allenatore che dopo 8 mesi sapesse dare un gioco alla squadra.
- Sognavo un allenatore che, dopo una vittoria prestigiosa ma senza gioco, non s’azzardasse a dichiarare “il terzo posto è alla portata”.
- Sognavo un allenatore che non s’azzardasse a dichiarare proprio nulla, perché ogni volta che fa proclami poi son sberle.
- Sognavo un allenatore che, dopo 24 ore da “il terzo posto è alla portata”, non uscisse con la paradossale dichiarazione: “forse dobbiamo fare più silenzio, e pedalare”, riferendosi ai suoi giocatori.
- Sognavo un allenatore che se gli avessero espulso il portiere non avrebbe tolto un’ala, ma un terzino, schierando la difesa a tre e continuando ad attaccare, da grande squadra.
- Sognavo un allenatore che, senza aver fatto un tiro in porta contro la difesa più battuta del campionato, non andasse in sala stampa a dire che “abbiamo sbagliato totalmente l'approccio, giocando con atteggiamento presuntuoso”, come se l’approccio non spettasse a lui, ma calasse dall’alto dei Cieli come lo Spirito Santo.
- Sognavo perfino un allenatore spocchioso, borioso e vincente che, lui sì, si crede lo Spirito Santo.
- Sognavo un allenatore che, dopo una sconfitta bruciante e umiliante, fumasse rabbia dalle narici e mettesse a soqquadro lo spogliatoio, inchiodando al muro tutti i giocatori. Ma senza far trapelare nulla.
- Sognavo un allenatore che desse le chiavi del centrocampo bianconero a Felipe Melo. E che quell’allenatore fosse dell’Ascoli.
- Sognavo un allenatore a cui bastasse osservare due contropiedi avversari 4 contro 1 per rendersi conto del fallimento di 8 mesi di messa a punto difensiva.
- Sognavo un allenatore capace di urlare l’indignazione per tutti i vergognosi favori regalati alle milanesi.
- Sognavo un allenatore.
- Mi sono svegliato a Lecce.
venerdì 18 febbraio 2011
Scudetto 2006, messaggi in codice
Qualcosa di importante sta bollendo in pentola sul fronte dello scudetto 2006. L’indizio che conferma gli spifferi che si fanno sempre più insistenti arriva dal taglio basso di pagina 35 del Corriere della Sera. Fabio Monti è una delle firme di punta della redazione sportiva del quotidiano e, soprattutto, è molto inserito nelle cose nerazzurre. Oggi sigla un pezzo (f.mo.) che già dal titolo suona strano: “La Fgci impiega un anno a deferire l’Inter”.
Perché usare un attacco così aggressivo per un articolo di scarso interesse? La questione infatti riguarda il trasferimento nel gennaio 2009 di Goran Pandev dalla Lazio all’Inter. La Procura federale ha deferito alla Commissione disciplinare Rinaldo Ghelfi (vicepresidente dell’Inter) e Marco Branca (d.t.) per aver trattato con Carlo Pallavicino, che nell’occasione era agente e non procuratore del giocatore. Quisquilie: l’Inter rischia al massimo una multa.
C’è però un passaggio che fa sobbalzare, inserito con voluta non chalance: “La vicenda è il segnale del peso politico sempre crescente di Lotito in Federcalcio (e in Lega) e anticipa il trattamento che verrà riservato all’Inter a fine stagione, quando le verrà revocato dal Consiglio federale lo scudetto 2006, nell’ambito della rivisitazione di Calciopoli”.
Monti usa il futuro semplice: “verrà revocato”. Se certe dichiarazioni si cominciano a leggere sul Corriere della Sera, sempre molto vicino all’Inter e non solo in termini commerciali, vuol dire che si sta preparando il terreno per un esito che in molti ambienti già si dà per scontato.
Monti usa il futuro semplice: “verrà revocato”. Se certe dichiarazioni si cominciano a leggere sul Corriere della Sera, sempre molto vicino all’Inter e non solo in termini commerciali, vuol dire che si sta preparando il terreno per un esito che in molti ambienti già si dà per scontato.
martedì 15 febbraio 2011
Svoltare allo svincolo Ronaldo
I cartelli in autostrada ti ricordano dove stai andando e quanto è passato da quando sei partito. Ci sono giocatori che sono i cartelli stradali della storia del calcio: segnano indelebilmente l’epoca in cui sono in campo e per capirla devi fare riferimento a loro. La mia segnaletica passa per Johann Cruijff negli anni Settanta, Maradona e Platini (e Zico) negli Ottanta, Zidane nel Duemila.
Ronaldo rappresenta senza dubbio gli anni Novanta, anche se il suo talento ha sconfinato nel nuovo Millennio.
Soltanto per chi non ama lo sport, il ritiro di Ronaldo Luís Nazário de Lima è un momento come un altro, magari solo da ricordare per accostarlo a Mark Iuliano e all’arbitro Ceccarini.
Una delle domande che faccio sempre ai calciatori, per curiosità mia e spesso a microfoni spenti, è chi sia il più grande con cui abbiano condiviso il prato verde.
Gli ultimi due a cui l’ho chiesto sono Gigi Buffon e Clarence Seedorf. Voglio dire, gente che nei club o in Nazionale aveva, tra gli altri, Nedved, Del Piero, Ibrahimovic, Maldini, Pirlo, Raul, Ronaldinho, Totti, Kakà, Weah.
Eppure tutti e due, senza la minima esitazione, mi hanno risposto di botto: “Ronaldo, quello vero”. Come a dire: diffidate dalle imitazioni.
Però, nel giorno delle giuste celebrazioni, credo sia altrettanto onesti riportare tutto quello che mi ha detto SuperGigi: “L’ho incontrato nel suo momento migliore, quando giocava nell’Inter. Faceva cose che agli umani erano impedite e verrà ricordato tra i grandissimi, insieme a Pelè e Maradona. Di questo però dovrà rammaricarsi, perché lui poteva essere il più grande di tutti, meglio pure di quei due. Madre Natura è stata così generosa con lui, ma non è riuscito a cogliere tutti i doni che gli sono stati fatti. Nel calcio come nella vita, per fortuna, ci sono le doti naturali, ma c’è anche il lavoro, la costanza, l’abnegazione. Perché per fortuna? Perché non tutti nasciamo privilegiati come lui”.
Il video postato su Twitter da Kakà, in onore del suo idolo: azioni pure, senza gol. Per gustare l'essenza.
Ronaldo rappresenta senza dubbio gli anni Novanta, anche se il suo talento ha sconfinato nel nuovo Millennio.
Soltanto per chi non ama lo sport, il ritiro di Ronaldo Luís Nazário de Lima è un momento come un altro, magari solo da ricordare per accostarlo a Mark Iuliano e all’arbitro Ceccarini.
Una delle domande che faccio sempre ai calciatori, per curiosità mia e spesso a microfoni spenti, è chi sia il più grande con cui abbiano condiviso il prato verde.
Gli ultimi due a cui l’ho chiesto sono Gigi Buffon e Clarence Seedorf. Voglio dire, gente che nei club o in Nazionale aveva, tra gli altri, Nedved, Del Piero, Ibrahimovic, Maldini, Pirlo, Raul, Ronaldinho, Totti, Kakà, Weah.
Eppure tutti e due, senza la minima esitazione, mi hanno risposto di botto: “Ronaldo, quello vero”. Come a dire: diffidate dalle imitazioni.
Però, nel giorno delle giuste celebrazioni, credo sia altrettanto onesti riportare tutto quello che mi ha detto SuperGigi: “L’ho incontrato nel suo momento migliore, quando giocava nell’Inter. Faceva cose che agli umani erano impedite e verrà ricordato tra i grandissimi, insieme a Pelè e Maradona. Di questo però dovrà rammaricarsi, perché lui poteva essere il più grande di tutti, meglio pure di quei due. Madre Natura è stata così generosa con lui, ma non è riuscito a cogliere tutti i doni che gli sono stati fatti. Nel calcio come nella vita, per fortuna, ci sono le doti naturali, ma c’è anche il lavoro, la costanza, l’abnegazione. Perché per fortuna? Perché non tutti nasciamo privilegiati come lui”.
Il video postato su Twitter da Kakà, in onore del suo idolo: azioni pure, senza gol. Per gustare l'essenza.
domenica 13 febbraio 2011
Bello aver scritto all'Inter la parola "fine" (A-Team su LaStampa.it)
Qualche settimana fa scrissi che la Juve è una provinciale. Questa con l’Inter è stata una vittoria da provinciale. Ma stavolta è un complimento, un grande complimento. Per tutti.
Per i chilometri macinati da Marchisio e Aquilani, per il cuore di Chiellini e Toni, per la determinazione di Barzagli e Bonucci, per il ritorno del Buffon che conosco io, per il su e giù di Krasic e Melo, per il ragazzino Sorensen che se l’è vista con un gigante come Eto’o e non ha fatto vedere la differenza. Infine, naturalmente, per Matri, l’attaccante che ha già cambiato il gioco della Juve e ha finito la partita come Garibaldi ferito sull’Aspromonte.
E pure per la miopia dell’arbitro Valeri, che non ha visto un rigore solare e s’è fin troppo dimenticato i cartellini in tasca, e sempre per l’Inter (quando si vince si è smodatamente indulgenti).
Pure per Delneri, i cui cambi mi risultano sempre esoterici, ma che ha preparato la partita molto meglio di Leonardo. Anche la scelta di sacrificare il Capitano stavolta mi ha convinto: la coppia Toni – Matri è assai convincente e ben amalgamata. Sarà difficile farne a meno. (Ciò detto, per tenere alta la squadra, io comunque Alex stasera l’avrei messo nella ripresa.)
E, sempre per stare in tema, diamo a Cesare quel che è di Cesare, che poi è Beppe: tanto sballata è stata la campagna acquisti estiva, quanto finora sembra indovinata quella invernale, ben al di là del prevedibile. Perché, oltre a una coppia d’attacco efficacissima, l’inserimento di Barzagli in queste tre partite è risultato davvero azzeccato: ha rafforzato la difesa e ha permesso lo spostamento a sinistra di Chiellini, che lì può essere esplosivo e trascinante senza fare i danni che fa al centro.
Permettetemi una nota magari poco sportiva, ma molto sincera: la cosa che stasera mi fa più piacere è, al di là di tutto, aver tagliato fuori l’Inter dalla corsa scudetto. La traversa di Eto’o è il timbro definitivo sulla parola “fine”. Ma quella parola è stata scritta da tutta la Juve, splendida provinciale.
Contro il Mancio
Roba dell'altro mondo. Che sia di buon auspicio per stasera.
mercoledì 9 febbraio 2011
Rino, perché Amauri no e Thiago Motta sì?
Giustamente, l'amico Luigi del gruppo Comunicazione Bianconera mi fa notare che quando Lippi convocava Camoranesi o pensava ad Amauri, tutti a invocare l'Italia agli italiani. Ora che Prandelli convoca Thiago Motta, tutti ad applaudire la nuova Nazionale multietnica.
S'attende, tra le altre, la replica di Rino Gattuso, che il 6 marzo 2009 regalava perle così.
S'attende, tra le altre, la replica di Rino Gattuso, che il 6 marzo 2009 regalava perle così.
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martedì 8 febbraio 2011
L'incubo di Christina
Quando le hanno assegnato l'incarico di cantare l'inno al Super Bowl, Christina Aguilera ha dichiarato: "Lo canto da quando avevo 7 anni, si avvera un sogno". Un incubo, più che altro. Cantandolo come una cornacchia con le adenoidi (sbagliando pure le parole), manco se avesse ancora 7 anni gli americani la scuserebbero.
Quelli che si sentono verso la fine della (terrificante) performance, non sono applausi, ma buuu. E ora pure la sua tournée sarebbe a rischio. Ma chi ci crede? Con tutta questa pubblicità...
Quelli che si sentono verso la fine della (terrificante) performance, non sono applausi, ma buuu. E ora pure la sua tournée sarebbe a rischio. Ma chi ci crede? Con tutta questa pubblicità...
lunedì 7 febbraio 2011
Juve, a Cagliari vola la rondine ma non è primavera (A-Team su LaStampa.it)
Nonostante l’estemporanea rovesciata di Amauri a Parma (ma quanto ama giocare spalle alla porta!), con Matri là davanti è come se avessero aperto le finestre di una stanza polverosa. Si badi bene, non è che abbiamo improvvisamente scovato un baby-Drogba sotto la foglia di un cavolo, ma è per dire che ormai mi stavo talmente assuefacendo a non avere finalizzatori, che un buon (ottimo?) attaccante mi fa quasi cadere nel deliquio della sindrome di Stendhal.
Ciò detto, ammainate i gonfaloni, che non è successo niente. Una rondine non fa primavera, anche se è bello vederla librare nel cielo della vigilia nerazzurra.
Sarà un caso, ma nel giorno in cui Mister Delneri rinnega i suoi dogmi e scopre che c’è tutto un mondo che gira altrove rispetto al 4-4-2, la Juve vince e segna tre gol, tutti con gli attaccanti di ruolo. Toh, guarda, nascono pure dai cross sulle fasce, quelli che a lui (e a noi) piaccion tanto, ma che finora arrivavano col contagocce.
Bene così, anche se ancora non s’è capito qual è la formazione titolare. Un po’ come lo scorso anno, quando giustamente s’accusava l’inesperto Ferrara di confusione. Ora il mister è esperto e la consideriamo duttilità (o emergenza o necessità o qualsiasi altra cosa). Per esempio, è piuttosto singolare vedere una difesa a quattro composta da soli centrali, ma questo passa il convento e colpe di Delneri stavolta proprio non ne vedo.
Qui s’era già auspicato un ritorno di Chiellini a sinistra e confermo: dal Chiello è arrivato finalmente un assist dalla fascia sinistra e, pur pagando la desuetudine, si vede che ci sono ampi margini di miglioramento. In più, si toglie dalla zona nevralgica della difesa, lasciandola a una coppia che sembra meglio amalgamata, Barzagli-Bonucci. Vedremo con Eto’o e Pazzini, se è vero.
Infine, almeno noi, giù le mani da Buffon. Pretendere di rivedere il superGigi del 2006 è ingiusto e miope: dopo un’operazione come quella che ha patito è ragionevole attendersi un periodo di rodaggio. Ma il portierone non va giudicato soltanto sugli interventi e sullo spessore tecnico del momento: uno col suo carisma serve per cementare lo spirito di squadra e per passare quella mentalità vincente, che manca al 99 per cento della rosa. Quindi, non toccatemelo.
P.S.: mi accodo con gratitudine ai festeggiamenti per le 444 partite del Capitano e per i 100 gol in A di Toni. Gente che ha fatto la storia di questo sport e, al diavolo le polemiche della domenica, è questo che fra 20 anni ci ricorderemo con ammirazione.
venerdì 4 febbraio 2011
Come ho fatto finora a vivere senza?
Molto sopra Elio e le Storie Tese, giusto un pelo sotto Leone di Lernia: la Sora Cesira è quella di Arcore's Night, ma ho scoperto che la produzione è assai più vasta. Il ritornello di questa Sade è da convulsioni.
giovedì 3 febbraio 2011
Juve, meno male che non sono complottista (A-Team su LaStampa.it)
A dirla con Agatha Christie, se tre indizi fanno una prova, dopo il gol annullato a Toni a Napoli, il rigore cosmico non concesso contro la Roma in Coppa Italia e la serata di Palermo, nel suo complesso, il 2011 sembra davvero nato all’insegna di un sospetto accanimento arbitrale contro la Juve.
Fossimo seguaci di Roberto Giacobbo, ci verrebbe da sospettare un maxi-complotto ordito da tetri figuri riuniti in qualche stanza segreta del Castello (di Cigognola?). Già li immagino i congiurati, in grembiulini e neri cappucci, sputarsi sulle mani, giurando vendetta contro la loro vittima designata.
Non una qualsiasi, ma un Giovin Signore, reo di aver alzato la voce nei giorni più caldi. Ovvero quelli che conducono finalmente alla definizione di Calciopoli bis e del processo di Napoli.
In fondo, non starei seguendo neanche la pista più visionaria di Voyager: qui non ci sono gli ufo a tracciare solchi nel grano o profezie maya che invocano la fine del mondo. C’è semplicemente una classe arbitrale inetta tanto quanto quella precedente il terremoto del 2006. Evidentemente non son bastate né la cura Collina né l’attuale di Marcello Nicchi. Se mai qualcuno di quella terapia ne ha scorto traccia.
I seguaci di Giacobbo, poi, insinuano che nel calcio per fare il lavoro sporco vengono inviati gli arbitri che non hanno più nulla da perdere, quelli a fine carriera. Gente che ha un solo obiettivo: gettare un ponte sul futuro, magari verso cariche istituzionali. È certamente una casualità, una balzana combinazione, ma Emidio Morganti da Ascoli è il fischietto più anziano e quest’anno dovrebbe già essere in pensione: arbitra su deroga “per essersi distinto nella scorsa stagione”.
Meno male che io ai complotti non ci credo. Preferisco guardare il campo e giudicare quel che vedo. E a Palermo ho visto tanto cuore, poca testa e nessuna fortuna. Gli arbitri sono una buona scusa, ma che non diventino un’alibi.
Da oggi lasciamo perdere le chimere europee, facciamo i 5 punti che mancano alla salvezza e usiamo il resto del campionato per creare un solido impianto di gioco (magari con qualche variazione allo stucchevole 4-4-2). Poi, quando finalmente ci saranno gli automatismi, in sede si pensi a impiantarci quei due o tre campioni in grado di far fare il salto di qualità. Matri s’è divorato l’impossibile, ma ha dato profondità al gioco. Lo considero già un bel passo avanti dopo un anno di Amauri.
Fossimo seguaci di Roberto Giacobbo, ci verrebbe da sospettare un maxi-complotto ordito da tetri figuri riuniti in qualche stanza segreta del Castello (di Cigognola?). Già li immagino i congiurati, in grembiulini e neri cappucci, sputarsi sulle mani, giurando vendetta contro la loro vittima designata.
Non una qualsiasi, ma un Giovin Signore, reo di aver alzato la voce nei giorni più caldi. Ovvero quelli che conducono finalmente alla definizione di Calciopoli bis e del processo di Napoli.
In fondo, non starei seguendo neanche la pista più visionaria di Voyager: qui non ci sono gli ufo a tracciare solchi nel grano o profezie maya che invocano la fine del mondo. C’è semplicemente una classe arbitrale inetta tanto quanto quella precedente il terremoto del 2006. Evidentemente non son bastate né la cura Collina né l’attuale di Marcello Nicchi. Se mai qualcuno di quella terapia ne ha scorto traccia.
I seguaci di Giacobbo, poi, insinuano che nel calcio per fare il lavoro sporco vengono inviati gli arbitri che non hanno più nulla da perdere, quelli a fine carriera. Gente che ha un solo obiettivo: gettare un ponte sul futuro, magari verso cariche istituzionali. È certamente una casualità, una balzana combinazione, ma Emidio Morganti da Ascoli è il fischietto più anziano e quest’anno dovrebbe già essere in pensione: arbitra su deroga “per essersi distinto nella scorsa stagione”.
Meno male che io ai complotti non ci credo. Preferisco guardare il campo e giudicare quel che vedo. E a Palermo ho visto tanto cuore, poca testa e nessuna fortuna. Gli arbitri sono una buona scusa, ma che non diventino un’alibi.
Da oggi lasciamo perdere le chimere europee, facciamo i 5 punti che mancano alla salvezza e usiamo il resto del campionato per creare un solido impianto di gioco (magari con qualche variazione allo stucchevole 4-4-2). Poi, quando finalmente ci saranno gli automatismi, in sede si pensi a impiantarci quei due o tre campioni in grado di far fare il salto di qualità. Matri s’è divorato l’impossibile, ma ha dato profondità al gioco. Lo considero già un bel passo avanti dopo un anno di Amauri.
martedì 1 febbraio 2011
Yuto Nagatomo, peccato sia finito dalla parte sbagliata
In tempi non sospetti, ovvero appena arrivato a Cesena, ho intervistato Yuto Nagatomo per FourFourTwo inglese. Domande volutamente banali per presentare colui che, secondo me, sarebbe stato la sorpresa della serie A. Peccato che sia finito nella squadra sbagliata.
Da Tokio a Cesena: com’è stato il salto? E quello dalla J-League alla Serie A?
Sono due realtà completamente diverse, ma a Cesena mi sono ambientato subito. Si mangia bene, la città è tranquilla e le distanze sono più piccole. La Serie A è molto più tecnica e molto più fisica della J-League, ma sono contento di essere arrivato qua, sto crescendo molto sotto il profilo sia tecnico sia fisico.
Il c.t. italiano del Giappone, Alberto Zaccheroni, stravede per te: merito anche della tua nuova esperienza in Serie A?
Di sicuro giocare in Serie A è un traguardo importante per qualsiasi giocatore. Per noi giapponesi lo è ancora di più. Oltretutto, il mister è di queste parti, vicino a Cesena. Spero che torni a casa spesso e venga a vedermi.
La tua Nazionale ha recentemente battuto 1-0 l’Argentina di Messi, un risultato storico, perché prima in sei incontri era stata sconfitta sei volte. Com’è stato trovarsi di fronte Messi?
Sì, è stato molto importante vincere con l’Argentina, ci ha dato una grande carica. Messi è davvero un fuoriclasse. In tivù è veloce, ma in campo ha una rapidità anche superiore.
A proposito di Messi, recentemente hai dichiarato che ti piacerebbe giocare nel Barcellona: glielo hai detto?
No, in quell’occasione ho pensato solo a giocare, però non ho problemi a confessare che l’ho detto: penso che a qualsiasi giocatore piacerebbe giocarci insieme. Per il momento però gioco nel Cesena e in questa squadra mi trovo molto bene e penso solo a portarla verso la salvezza.
Se dovessero chiamarti dalla Premier League, in quale squadra vorresti giocare?
In Premier ci sono dei grandissimi club, Machester United, Arsenal, Liverpool, Chelesea. Sono tutte squadre di grande blasone, non ne posso scegliere una sola. Però una cosa alla volta: non sono mai nemmeno stato in Inghilterra, per ora mi basterebbe andarci presto, magari in vacanza.
Ci suggerisci un cantante o un gruppo giapponese da ascoltare per caricarsi prima di una partita?
Personalmente mi piacciono molto gli Exile: li consiglio caldamente.
Che cosa ti ha colpito di più dell’Italia? Hai già imparato qualche parola in italiano? Magari anche qualche parolaccia?
Dell’Italia mi hanno colpito molte cose, su tutte ovviamente la cucina. Adoro la pasta! Ho imparato qualche parola che mi è utile sul campo, sto studiando e inizio piano piano a capire qualcosa. La frase italiana che dico più spesso è: “Andiamo a mangiare!”.
Qual è il miglior giocatore con cui hai giocato? E quello contro cui hai giocato?
Ancora è presto dirlo ma per ora posso dire tra i compagni si squadra mi ha impressionato Emanuele Giaccherini, mentre tra gli avversari dico Pato.
Per chi tifavi da ragazzo? Il campione di riferimento?
Da ragazzo ero un fan della Fiorentina, la seguivo molto perché mi piaceva Batistuta, però anche la Juve mi piaceva molto. Avevo la Serie A nel destino!
Qual è la partita più bella che hai mai visto? E quella che hai giocato?
Di sicuro la partita più emozionante che abbia visto è stata Francia –Italia ai Mondiali di Germania, quella che ho giocato per ora è certamente Cesena-Milan. Vincere 2-0 alla seconda di campionato, contro il Milan è stato davvero bello, me lo ricorderò per sempre.
Sono peggio le vuvuzelas o le trombette che usate voi in Giappone?
Sinceramente non mi davano molto fastidio le vuvuzelas...
C’è un attaccante che soffri e che ogni volta che lo incontri la sera prima non dormi?
Devo ancora fare esperienza, diciamo che per ora ho incontrato giocatori molto forti come Totti, Pato, Cavani, Ibrahimovic, ma ho cercato sempre di vivere alla giornata senza pensare troppo.
Il tuo sogno da calciatore e quello da uomo.
Ne ho tanti di sogni, ma per ora mi basterebbe la conquista della salvezza con il Cesena. Volando più alto? E allora perché no, vincere un mondiale con il Giappone.
Sushi o piadina?
Mi piace molto anche la piadina, ma il sushi rimane primo in classifica!
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