giovedì 31 ottobre 2013
lunedì 28 ottobre 2013
Allo Stadium un Genoa incommentabile
Il rispetto dell’avversario non può passare sopra ai principi
sportivi, ai valori, alla base della tenzone agonistica. La
competitività nello sport è tutto e se una squadra è mal
attrezzata, mal disposta e pessimamente assemblata non lo si deve
sottacere in nome di chissà quale etica cavalleresca.
Questo Genoa è indegno della serie A. E se si salverà a fine anno è perché il torneo a 20 squadre sta definitivamente mostrando la corda, esibendo contemporaneamente cinque o sei squadre che soltanto fino a qualche anno fa non sarebbero mai state ammesse alla massima competizione nazionale. È il triste risultato della crisi economica ma anche di una miope programmazione del sistema calcio italiano.
Il discorso ci porterebbe troppo lontano, tuttavia riesce più facile parlare dell’incapacità dei Grifoni di esprimere anche il gioco più elementare, piuttosto che celebrare la ritrovata compattezza della Juve. Che pure c’è stata, dando seguito alla confortante partita di Madrid (ah, che ridere, dopo il Clasico di sabato CR7 piange e si lamenta degli arbitri. Che buffo, eh?).
Sarà un caso, ma se cresce Vidal cresce tutta la squadra, il gioco diventa più arrembante, gli schemi trovano fluidità. Anche Llorente ha fatto la sua parte, confermando che col suo arrivo la rosa s’è rinforzata, altroché. Continuando a spigolare sui singoli, oltre a un monumentale Pirlo e a un inutile Buffon (avessi giocato io in porta avremmo vinto lo stesso), una citazione a parte la meritano Bonucci e Pogba.
Il difensore ha concentrato in 90 minuti tutti i difetti di inizio avventura juventina. Svagato, pasticcione, persino un po’ piacione. Troppi palloni sprecati e disattenzioni potenzialmente pericolose. Merita un paio di partite di riposo per tornare nella massima forma quando servirà davvero, cioè nelle ravvicinatissime sfide con Napoli e Real.
Ancora più innamorato di se stesso è Pogba. Che poi, siamo d’accordo, anche noi stiamo prendendo una brutta cotta nei suoi confronti, ma soltanto l’età lo giustifica quando tenta certi ghirigori. Compito del mister fargli capire che i campioni fanno i numeri, ma i fuoriclasse li fanno solo quando servono.
In ogni caso, commentare una sfida quando l’avversario esulta se supera la metà campo è un esercizio di stile sterile. Temo lo sarà anche la sfida infrasettimanale col Catania. Se però gli organi istituzionali non interverranno, dovremo abituarci a commentare sempre più di frequente l’incommentabile.
Questo Genoa è indegno della serie A. E se si salverà a fine anno è perché il torneo a 20 squadre sta definitivamente mostrando la corda, esibendo contemporaneamente cinque o sei squadre che soltanto fino a qualche anno fa non sarebbero mai state ammesse alla massima competizione nazionale. È il triste risultato della crisi economica ma anche di una miope programmazione del sistema calcio italiano.
Il discorso ci porterebbe troppo lontano, tuttavia riesce più facile parlare dell’incapacità dei Grifoni di esprimere anche il gioco più elementare, piuttosto che celebrare la ritrovata compattezza della Juve. Che pure c’è stata, dando seguito alla confortante partita di Madrid (ah, che ridere, dopo il Clasico di sabato CR7 piange e si lamenta degli arbitri. Che buffo, eh?).
Sarà un caso, ma se cresce Vidal cresce tutta la squadra, il gioco diventa più arrembante, gli schemi trovano fluidità. Anche Llorente ha fatto la sua parte, confermando che col suo arrivo la rosa s’è rinforzata, altroché. Continuando a spigolare sui singoli, oltre a un monumentale Pirlo e a un inutile Buffon (avessi giocato io in porta avremmo vinto lo stesso), una citazione a parte la meritano Bonucci e Pogba.
Il difensore ha concentrato in 90 minuti tutti i difetti di inizio avventura juventina. Svagato, pasticcione, persino un po’ piacione. Troppi palloni sprecati e disattenzioni potenzialmente pericolose. Merita un paio di partite di riposo per tornare nella massima forma quando servirà davvero, cioè nelle ravvicinatissime sfide con Napoli e Real.
Ancora più innamorato di se stesso è Pogba. Che poi, siamo d’accordo, anche noi stiamo prendendo una brutta cotta nei suoi confronti, ma soltanto l’età lo giustifica quando tenta certi ghirigori. Compito del mister fargli capire che i campioni fanno i numeri, ma i fuoriclasse li fanno solo quando servono.
In ogni caso, commentare una sfida quando l’avversario esulta se supera la metà campo è un esercizio di stile sterile. Temo lo sarà anche la sfida infrasettimanale col Catania. Se però gli organi istituzionali non interverranno, dovremo abituarci a commentare sempre più di frequente l’incommentabile.
domenica 20 ottobre 2013
A Firenze un incubo di 15 minuti
Quindici minuti da incubo, ma non illogici. A Firenze la
Juve ha concentrato in un quarto d’ora i mali di una stagione. Tuttavia più dei
quattro gol in soffio e praticamente tutti con chiare responsabilità dei
nostri, quello che stordisce è che fino al 66’ la partita era in controllo e le
uniche recriminazioni riguardavano l’incapacità di segnare il terzo gol.
Spiace aver regalato una gioia così alla Viola, ma la preoccupazione è per il futuro, che non è semplicemente quello prossimo di mercoledì a Madrid. L’impressione che se ne ricava a caldo è che la Juve stia soffrendo di mali profondi.
La difesa, tanto per dire il più grave, non tiene più come una volta. Buffon non solo non fa più miracoli, ma prende anche gol evitabili. Il trio Barzagli Bonucci e Chiellini vanno in apnea, il centrocampo non fa filtro. Pogba, pur dall’alto della sua classe, gioca spesso in irresponsabile leggerezza.
Non si spinge più sulle fasce. Asamoah arriva sul fondo con difficoltà (oltre ad aver causato un rigore da denuncia penale, con l’avversario che andava lontano dalla porta), Padoin manco ci pensa. Lichtsteiner è davvero uno dei pochi insostituibili di questa squadra. E non è un bel segno, perché in una squadra che punta ai massimi livelli ci vuole una panchina profonda.
Mi pare però che il dato più preoccupante sia tutto mentale. La Juve non ha più la testa dello scorso anno. Gli alert di Conte oggi si capiscono meglio.
Ora arriva Madrid e un bivio che può segnare una stagione. Se si fa risultato la partita di Firenze entra nel Museo degli Orrori come un episodio, se si perde, dobbiamo ammetterlo: la crisi diventa conclamata. Intanto, la Roma è lontana già 5 punti. Speriamo di non dovercene rammaricare già a ottobre.
Spiace aver regalato una gioia così alla Viola, ma la preoccupazione è per il futuro, che non è semplicemente quello prossimo di mercoledì a Madrid. L’impressione che se ne ricava a caldo è che la Juve stia soffrendo di mali profondi.
La difesa, tanto per dire il più grave, non tiene più come una volta. Buffon non solo non fa più miracoli, ma prende anche gol evitabili. Il trio Barzagli Bonucci e Chiellini vanno in apnea, il centrocampo non fa filtro. Pogba, pur dall’alto della sua classe, gioca spesso in irresponsabile leggerezza.
Non si spinge più sulle fasce. Asamoah arriva sul fondo con difficoltà (oltre ad aver causato un rigore da denuncia penale, con l’avversario che andava lontano dalla porta), Padoin manco ci pensa. Lichtsteiner è davvero uno dei pochi insostituibili di questa squadra. E non è un bel segno, perché in una squadra che punta ai massimi livelli ci vuole una panchina profonda.
Mi pare però che il dato più preoccupante sia tutto mentale. La Juve non ha più la testa dello scorso anno. Gli alert di Conte oggi si capiscono meglio.
Ora arriva Madrid e un bivio che può segnare una stagione. Se si fa risultato la partita di Firenze entra nel Museo degli Orrori come un episodio, se si perde, dobbiamo ammetterlo: la crisi diventa conclamata. Intanto, la Roma è lontana già 5 punti. Speriamo di non dovercene rammaricare già a ottobre.
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martedì 8 ottobre 2013
Il peggior Milan dell'era Berlusconi
Non è un gran momento per Berlusconi, che domenica sera ha dovuto
assistere anche a un Milan al punto più basso della sua era. Una squadra senza
qualità, sconclusionata, che ha palesemente mollato speranze e
allenatore. Una miseria calcistica, detto senza volontà d’offendere, ma
sottolineando come storia e tradizione del Milan debbano pretendere ben
altro scenario rispetto a quello esibito allo Stadium.
In campo e fuori, Mexes e i cori stupidi e inutili che hanno causato la chiusura di San Siro. Non che, francamente, la nostra curva mi sia piaciuta di più. Dall’allusivo, peloso e per molti versi odioso inno di Mameli cantato durante il minuto di silenzio per le vittime di Lampedusa all’inutile striscione alla fine del primo tempo (“Tribuna: andate, il buffet è pronto”), che sottende il falso assioma per cui per essere tifosi veri bisogna soffrire in piedi con qualche capetto che ti ordini che cosa cantare e che cosa fare. Ma questo è un male soltanto italiano e non è chiudendo i settori che si estirpa. Anzi, si rischia di compattarli. Lo striscione del San Paolo “Napoli colera. E ora chiudeteci la curva” dimostra che quando c’è da schierarsi contro l’autorità, le curve non guardano ai colori.
Si sarà notato che fatico a commentare Juve-Milan. Anche perché non mi sono lasciato abbagliare dal risultato. Ripeto: il Milan è troppo poco per regalarmi emozioni. Sottolineo però le risposte che sono giunte apposta per sminare alcuni malumori sottotraccia.
Il primo, lampante, riguarda Giovinco. L’uomo che non sembrava mai decisivo, scivolato al quinto posto nella gerarchia dell’attacco bianconero. Un gol così bello va dedicato a tutti quelli che si stavano dimenticando di lui. E tra questi non c’è Conte, che dal canto suo ha messo a sedere chi gli contesta che non sa leggere la partita in corso.
Mentre tutto lo Stadium acclamava Llorente, lui ha buttato nella mischia la Formica Atomica, sapendo che la difesa rossonera poteva essere scassinata col gioco a terra, rapido, e quello dopo due minuti dimostrava quanto avesse ragione. Prima ancora s’era inventato un Pogba di fascia che, dopo l’insostenibile timidezza di Padoin, ha finalmente attaccato Constant, mandandolo in bambola e creando l’uomo in più.
Per il resto, ogni critica naufraga davanti al tabellino di sei vittorie e un pareggio su sette partite.
In campo e fuori, Mexes e i cori stupidi e inutili che hanno causato la chiusura di San Siro. Non che, francamente, la nostra curva mi sia piaciuta di più. Dall’allusivo, peloso e per molti versi odioso inno di Mameli cantato durante il minuto di silenzio per le vittime di Lampedusa all’inutile striscione alla fine del primo tempo (“Tribuna: andate, il buffet è pronto”), che sottende il falso assioma per cui per essere tifosi veri bisogna soffrire in piedi con qualche capetto che ti ordini che cosa cantare e che cosa fare. Ma questo è un male soltanto italiano e non è chiudendo i settori che si estirpa. Anzi, si rischia di compattarli. Lo striscione del San Paolo “Napoli colera. E ora chiudeteci la curva” dimostra che quando c’è da schierarsi contro l’autorità, le curve non guardano ai colori.
Si sarà notato che fatico a commentare Juve-Milan. Anche perché non mi sono lasciato abbagliare dal risultato. Ripeto: il Milan è troppo poco per regalarmi emozioni. Sottolineo però le risposte che sono giunte apposta per sminare alcuni malumori sottotraccia.
Il primo, lampante, riguarda Giovinco. L’uomo che non sembrava mai decisivo, scivolato al quinto posto nella gerarchia dell’attacco bianconero. Un gol così bello va dedicato a tutti quelli che si stavano dimenticando di lui. E tra questi non c’è Conte, che dal canto suo ha messo a sedere chi gli contesta che non sa leggere la partita in corso.
Mentre tutto lo Stadium acclamava Llorente, lui ha buttato nella mischia la Formica Atomica, sapendo che la difesa rossonera poteva essere scassinata col gioco a terra, rapido, e quello dopo due minuti dimostrava quanto avesse ragione. Prima ancora s’era inventato un Pogba di fascia che, dopo l’insostenibile timidezza di Padoin, ha finalmente attaccato Constant, mandandolo in bambola e creando l’uomo in più.
Per il resto, ogni critica naufraga davanti al tabellino di sei vittorie e un pareggio su sette partite.
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