sabato 22 gennaio 2011

Mister B. Alle radici del male anche Craxi e Veltroni

Any one of the many allegations levelled at Silvio Berlusconi over the years would probably be sufficient to sink a prime minister in most countries, but the scandal which could finally undo him is perhaps the most scurrilous of them all. It combines an underage belly dancer, ribald sex parties and claims of political interference with the police.

La stampa estera fatica a comprendere come uno scandalo di tale portata possa non aver già indotto il Primo Ministro alle dimissioni. In effetti, se non si conosce a fondo la storia recente (ma neppure troppo) di questo Paese, il rebus è irrisolvibile. Il Parlamento è spogliato della sua funzione e ormai i giochi politici si sviluppano nelle aule dei pubblici ministeri e, soprattutto, nei programmi televisivi, dove la disinformazione, la faziosità prezzolata e la farsa prevalgono sui concetti.

In due soli giorni ho avuto l’avventura di imbattermi ad "Anno Zero" in una strepitante Santanchè (colei che coerentemente un anno fa concionava: “le italiane devono avere, così come sono certa che già hanno, la percezione che per Silvio Berlusconi le donne sono in posizione orizzontale, mai verticale”), un berciante Sgarbi a "L’ultima parola", capace di mandare fuori dei gangheri persino Gianluigi Paragone, e un impresentabile Paolo Liguori a "Linea Notte". La linea politica comune: urlare più forte possibile per rendere inintelleggibile il dibattito. Si sa, che si fanno corsi apposta, ma i tre esempi sono apparsi ben oltre i limiti anche del celebre kit di Forza Italia.

Naturalmente, l’atteggiamento riverbera anche sui titoli dei giornali, su tutti quello del fratello del Premier, "Il giornale", e quello di proprietà di Antonio Angelucci, senatore intimo del Premier, "Libero". Titoli tanto sfacciati da essere impossibili, se non fossero sotto dettatura. Il mio preferito? Questo, del 17 gennaio:



Poi, si sa, che in politica come in fisica se si esercita una forza se ne scatena sempre una uguale e contraria, da cui i vari santorismi e travaglismi. 

A che dobbiamo tale umiliante situazione, incomprensibile al resto del mondo? Per trovare l’origine primigenia di questa dissoluzione della coscienza critica italiana e dell’impossibilità per chissà quanti anni ancora (ben oltre la vita terrena del nostro anziano Premier), dobbiamo risalire al 1984, tanto per sfatare il mito serpeggiante che la Prima Repubblica era meglio di questa.

Il 16 ottobre 1984 accadde che i telespettatori di Piemonte, Lazio e Abruzzo che da poco stavano abituandosi alla novità delle tivù commerciali trovarono la scritta: “Per ordine del pretore è vietata la trasmissione in questa città dei programmi di Canale5, Rete4 e Italia1, regolarmente in onda nel resto d'Italia”. A quei tempi, infatti, era in vigore una legge, la Mammì, che impediva la programmazione di privati su scala nazionale e, soprattutto, impediva allo stesso editore di avere troppe testate, non importa se televisive, radiofoniche o cartacee. Una norma condivisa nei paesi più sviluppati per impedire un'insana concentrazione di potere e di abuso di posizione dominante.

Già allora Berlusconi era palesemente fuorilegge, possedendo tre canali televisivi, una testata a tiratura nazionale ("Il giornale"), una concessionaria di pubblicità. Eppure, con un colpo di mano, già due giorni dopo il Primo Ministro di allora s’impegnò a varare due decreti legge che salvarono l’impero del nuovo tycoon di Milano 2. Due decreti così sfacciati che sono conosciuti come “decreti Berlusconi”.

Il 20 ottobre 1984, il Presidente del Consiglio ricevette questa missiva dal beneficiato: “Caro Bettino grazie di cuore per quello che hai fatto. So che non è stato facile e che hai dovuto mettere sul tavolo la tua credibilità e la tua autorità. Spero di avere il modo di contraccambiarti. Ho creduto giusto non inserire un riferimento esplicito al tuo nome nei titoli-tv prima della ripresa per non esporti oltre misura. Troveremo insieme al più presto il modo di fare qualcosa di meglio. Ancora grazie, dal profondo del cuore. Con amicizia, tuo Silvio”.

Bettino Craxi poi commenterà quello stesso giorno alla stampa: “Mi ha dato un certo fastidio, come utente televisivo, vedere quegli spazi neri”. Ricevendo da Botteghe Oscure un imprevedibile avallo: “Ci sono poi anche le abitudini degli utenti, consolidate in anni di utenza televisiva, che non possono essere ignorate. Non è con il black-out che si risolvono i problemi del mondo televisivo”. Il responsabile all’informazione che dichiarò tale oscenità fu un certo Walter Veltroni, colui che ora chiede a Berlusconi di dimettersi per il bene del Paese.

Ci avesse pensato per tempo, ora non saremmo qui a chiederci perché fino al 1993 la gente sapesse assediare l’Hotel Raphael, mentre oggi guarda con occhi vacui Sgarbi che bercia che Berlusconi è una vittima del bigottismo come Pasolini.


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