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mercoledì 11 dicembre 2013

Inutile piangere sul latte turco

La Champions è una competizione molto logica: di solito passano le più forti. E alla fine vincono le migliori. Su 14 edizioni della lega europea com’è oggi, solo tre volte ha vinto chi è qualificata seconda nel gruppo. E due di queste tre volte sono squadre di Mourinho: il Porto del 2004 e l’Inter del 2010 (l’altra è il Liverpool del celebre 3-3 dell’Ataturk al Milan).

Questo per dire che se fai sei punti in sei partite c’è poco latte versato su cui piangere. Ha ragione Conte a sottolineare che “l'errore è stato ridurci a giocare l'ultima gara qui a Istanbul con la qualificazione in bilico”. Ingenuità come il pareggio di Copenaghen o, ancora peggio per come è maturato, quello in casa col Galatasaray in Champions League si pagano senza appello.

Poi, certo, in una competizione multimilionaria non ti aspetti di giocare su un campo da oratorio, ma se capita bisogna adattarsi. Il che vuol dire palla lunga e viva il parroco. Sul fango si lotta non si cerca il triangolo e due lenze come Drogba e Snejider hanno dimostrato di avere la maturità per applicarlo. Didier non finirà mai di stregarmi, ma questa è una fissa tutta mia e mi porterebbe fuori tema.

Le ricadute psicologiche di questa mancata qualificazione sono tutte da valutare. Più facile invece calcolare quelle sul bilancio. Sarà un ammanco che peserà fatalmente sulla campagna acquisti del prossimo anno. Salvo vincere l’Europa League e partecipare alla Supercoppa europea.

Ma, al di là della suggestione della finale in casa, l’Europa dei poveri è una iattura per quantità di impegni, trasferte, partite al giovedì. Urgono ricambi, magari anche non di statura tecnica elevatissima per rimanere coi titolari fortemente concentrati sul campionato. Largo alla Primavera, che tanto, pure lei, non ha più impegni in Youth League, eliminata dal Copenaghen.

mercoledì 18 settembre 2013

Quando il cuore si scolla dalla ragione



Dopo una partita siamo già a fare i conti sul girone di qualificazione di Champions. Non una bella prospettiva, perché su quel campo maledetto (dove già l’anno scorso abbiamo inciampato sul Nordsjealland) Real Madrid e Galatasaray vinceranno.

Se non vogliamo spaccarci la testa con la matematica però prendiamo come viene una partita dietro l’altra. Essere in piena forma a settembre non ha senso e la Juve può soltanto crescere. Tuttavia, guardando in simultanea le altre squadre top sui monitor del canale televisivo dove ero ospitato, la differenza – ahinoi – brillava. Mentre il Real asfaltava i turchi, il Bayern, il Psg, il City, lo United si divertivano con squadre ben più di spessore del Copenaghen.

E, inevitabilmente, mi sono tornate in mente le parole aspre di Conte della fine della scorsa stagione. Devo dargli atto, aveva ragione a urlare che la Juve ha un gap che non può essere colmato con due o tre colpi di mercato. Non avevo dato il peso sufficiente a quello sfogo, mi era sembrato addirittura fuori misura. Temo che invece fuori misura fossi io.

Vedremo e non disperiamo, anche se ieri mi si è scollato il cuore dalla ragione. Sbagliare cinque volte da soli davanti al portiere non è un alibi, semmai un’aggravante. Segno di poca lucidità. Come troppi sono i segnali preoccupanti. Chiellini è totalmente fuori fase. Ogbonna è in panico e non ha ancora capito come muoversi. Pogba continua a gigioneggiare, spesso con mossette fini a se stesse. Tevez deve diventare decisivo, perché così rischia di mischiare il fumo con l’arrosto. Ho visto tentativi di rabone e colpi di tacco, anche quando eravamo sotto: inspiegabile. Come è inspiegabile, per me, un cambio Peluso-De Ceglie, se si vuole rimontare uno svantaggio.

Insomma, una serata storta, che viene dopo la partita di San Siro che drittissima non era. Adesso questo periodo va gestito psicologicamente. Non siamo più abituati a inseguire e non si può toppare con le veronesi.

giovedì 7 marzo 2013

Quando non ci credevano all'altezza

Era il 5’ minuto di Nordsjælland – Juventus. I bianconeri avevano subito il quarto gol del torneo e si apprestavano a tornare dalla Danimarca con il terzo pareggio in tre partite. I commenti cominciavano a fioccare: “La Juve non è attrezzata per due competizioni”. Qualcuno ci stava anche credendo, sennonché, da allora, 490 minuti giocati, 14 gol fatti e neanche più uno subito.

In otto partite, cinque vittorie e tre pareggi. Siamo con Borussia e Schalke 04 (che però ha una partita in meno) le uniche imbattute del torneo. Perciò: occhio alle tedesche e noi avanti così fino alla fine.

È incredibile come in un anno e mezzo Conte abbia trasformato questa squadra, che partita dopo partita si dimostra sempre più matura. Col Celtic c’era il motivato rischio di farsi male da soli e una chiave perfetta per evitarlo: segnare entro la prima mezzora. Detto e fatto.

Ora Quagliarella si ritrova in testa alla classifica dei marcatori bianconeri con 11 reti complessive (con Giovinco, che però ha giocato 35 partite contro le 22 di Fabio), di cui 4 in Champions.

E parliamo del discussissimo reparto d’attacco? In Europa, su 17 reti complessive, ne ha siglate 10 (Quagliarella 4; Vucinic, Matri e Giovinco 2), che non mi pare un bottino tanto magro, in 8 partite. Pare che l'Europa giovi più del nostro campionato.

Al punto che, a mezza bocca, si comincia anche ad ammettere che, tutto sommato, ora tutto è possibile. Forse anche a prendere in considerazione una coppia poco consueta, ma davvero molto ben assortita come quella formata da Matri e Quagliarella. Quanto meno, è un’alternativa in più, e non di ripiego. Matri regala una profondità che nessun altro del reparto garantisce, mentre Fabio è pazzo a sufficienza da sorprendere pure se stesso. Si vede che insieme si trovano bene. Prego, insistere.

Infine, onore delle armi ai tifosi del Celtic: dall’inizio del secondo tempo hanno cominciato a cantare e non hanno finito più. Applausi anche per averlo fatto a torso nudo. Per questo non sono certo un esempio da imitare, ma tanta tenuta non si spiega soltanto in galloni di birra.

lunedì 9 maggio 2011

L'oligopolio non fa bene al calcio

Con le vittorie nel weekend contro Chelsea (2-1) e nel derby con l’Espanyol (2-0), Manchester United e Barcellona si aggiudicano di fatto Premier e Liga, confermando il trend degli ultimi anni, secondo il quale chi va in finale in Champions vince anche in casa.

Oramai si viaggia a colpi di doppiette e triplette. È il caso dell’Inter della scorsa stagione, del triplete del Barcellona dell’anno prima e della doppietta del Manchester di quella prima ancora.

Tendenza che sarebbe stata confermata anche in caso di risultato invertito in Europa (spesso le finali si vincono per gli episodi), perché quest’anno chiunque vinca fa doppietta, lo scorso anno a Madrid arrivarono Inter e Bayern con la doppietta domestica già in tasca e lo stesso accadde a Roma nel 2009 quando il Barça conquistò il triplete contro il ManU già campione inglese e di Coppa di Lega. Nel 2008 non poté esserci una sfida tra vincenti del proprio campionato soltanto perché si incontrarono ManU e Chelsea, che comunque conclusero prime e seconde in Premier.

È soltanto un dato statistico? Non credo. Mi sembra piuttosto una radicalizzazione del potere sportivo in pochissime mani, che tendono ad arraffare tutto. Non fa di certo bene allo sport, ma senza adeguati correttivi (tetti degli ingaggi, spalmatura più equa dei diritti televisivi, revisione delle norme finanziarie e di equità fiscale) non c’è alternativa.

Finché la tendenza si incancrenirà e dai duopoli nazionali dei maggiori campionati europei (e in Italia il rischio è ancora più alto, come si è accorto Mario Sconcerti sul Corriere di oggi, perché ristretto al derby di una sola città), si giungerà a uno strettissimo oligopolio della Champions, che è già in atto ma che rischia di restringersi a tre o quattro squadre al massimo. E, allora, sarà ben difficile trovarci delle italiane.

giovedì 14 aprile 2011

Ode ai vecchietti


Uno di questi due andrà a giocare la finale di Champions League. Il primo è nato a Madrid, il 27 giugno 1977, il secondo a Cardiff, il 29 novembre 1973. Trentaquattro e trentasette anni.

Da noi, il paese dove Alex Del Piero (9 novembre 1974) e Francesco Totti (27 settembre 1976) sono continuamente criticati e faticano a trovare un posto in squadre che si barcamenano tra il sesto e il settimo posto, non può che impressionare.

Invece, quando c’è rispetto per la classe, altrove non si guarda la carta d’identità. Chiunque dei due vada in finale, io tiferò per lui. Vederlo alzare la coppa sarà la conferma che non ho sbagliato a innamorarmi di questo sport meraviglioso.