giovedì 26 settembre 2013

Numeri e impressioni


Tredici punti su 15 e questo è molto bene. Cinque vittorie e due pareggi su sette partite ufficiali e questo è altrettanto bene. Dieci gol fatti in campionato, media di due secchi a partita, e questo è davvero okay. Quattro gol subiti, quasi uno a partita, e questo non è buono. Quarta partita a fila in cui si va sotto e questo è proprio male.

Numeri. Si possono prendere e girare come si vuole, ma poi è l’impressione del campo a parlare davvero. Questa non è la Juve che ci fa innamorare. Anzi, a dirla tutta, ci farebbe pure un po’ preoccupare se poi la classifica non cantasse come fa.

Il campionato è davvero di basso livello ma sarebbe forzato dire che quei 13 punti sono figli della mediocrità. Il calendario finora non ci ha fatto sconti e non ce ne farà nemmeno nel prossimo futuro, col derby alle porte e il Milan dopo il Galatasaray, partita chiave del gruppo di Champions. Però c’è qualcosa di incriccato nel magnifico meccanismo della Juve di Conte delle scorse stagioni.

Il gioco scorre meno fluido e senza Lichtsteiner e Asamoah, quando è in spolvero, manca totalmente spinta dalle fasce, quella che scardina le difese avversarie. Si nota una strana propensione al tiki-taka sterile sui trenta metri avversari, nell’attesa di trovare varchi che sono sempre più difficili da individuare.

La difesa imbarca gol impensabili fino a qualche tempo fa. Un po’ perché Barzagli avrebbe bisogno di riprendersi con calma dei suoi acciacchi, un po’ perché Ogbonna fatica a capire gli automatismi dei compagni di reparto, un po’ perché Chiellini fatica a entrare a regime. E qualcosa più di un po’ perché il centrocampo fa meno filtro del solito e Buffon è in una fase critica (gli suggeriamo di mandare un mazzo di fiori all’assistente Preti, perché senza quell’assurda sventolata sarebbe un bersaglio grosso).

Detto questo è senz’altro un bel vantaggio poter lavorare su quello che non va continuando a vincere. Conte lo sa e predica calma. Continua a ripetere che vincere tre scudetti a fila è un traguardo storico. Con una Juve al 100 per cento sarebbe più alla portata, ma c’è tempo per raddrizzare una barca che finora non si è mai davvero stortata.

mercoledì 18 settembre 2013

Quando il cuore si scolla dalla ragione



Dopo una partita siamo già a fare i conti sul girone di qualificazione di Champions. Non una bella prospettiva, perché su quel campo maledetto (dove già l’anno scorso abbiamo inciampato sul Nordsjealland) Real Madrid e Galatasaray vinceranno.

Se non vogliamo spaccarci la testa con la matematica però prendiamo come viene una partita dietro l’altra. Essere in piena forma a settembre non ha senso e la Juve può soltanto crescere. Tuttavia, guardando in simultanea le altre squadre top sui monitor del canale televisivo dove ero ospitato, la differenza – ahinoi – brillava. Mentre il Real asfaltava i turchi, il Bayern, il Psg, il City, lo United si divertivano con squadre ben più di spessore del Copenaghen.

E, inevitabilmente, mi sono tornate in mente le parole aspre di Conte della fine della scorsa stagione. Devo dargli atto, aveva ragione a urlare che la Juve ha un gap che non può essere colmato con due o tre colpi di mercato. Non avevo dato il peso sufficiente a quello sfogo, mi era sembrato addirittura fuori misura. Temo che invece fuori misura fossi io.

Vedremo e non disperiamo, anche se ieri mi si è scollato il cuore dalla ragione. Sbagliare cinque volte da soli davanti al portiere non è un alibi, semmai un’aggravante. Segno di poca lucidità. Come troppi sono i segnali preoccupanti. Chiellini è totalmente fuori fase. Ogbonna è in panico e non ha ancora capito come muoversi. Pogba continua a gigioneggiare, spesso con mossette fini a se stesse. Tevez deve diventare decisivo, perché così rischia di mischiare il fumo con l’arrosto. Ho visto tentativi di rabone e colpi di tacco, anche quando eravamo sotto: inspiegabile. Come è inspiegabile, per me, un cambio Peluso-De Ceglie, se si vuole rimontare uno svantaggio.

Insomma, una serata storta, che viene dopo la partita di San Siro che drittissima non era. Adesso questo periodo va gestito psicologicamente. Non siamo più abituati a inseguire e non si può toppare con le veronesi.

sabato 14 settembre 2013

A San Siro la Juve che Conte non vuole

Una partita brutta, noiosa, lenta. Perché è stata una Juve brutta, noiosa, lenta. E disattenta. Certo, Mazzarri ha fatto dell’Inter una squadra, dimostrando che l’allenatore conta, oltre a sottolineare le vere qualità di Stramaccioni.

Però a San Siro è scesa in campo una delle Juventus più deludenti dell’era Conte e non è merito di Mazzarri. Le motivazioni profonde andranno misurate, ma intanto spiccano alcune valutazioni.

Le fascia destra, che di solito è il nostro punto di forza, ha patito un Lichtsteiner nervoso e poco dinamico e un Isla che ha fatto tirare due sospiri di sollievo a San Siro. Uno per come s’è mangiato un gol fatto, l’altro perché non veste la maglia nerazzurra.

Pirlo, mi fa grondare il cuore scriverlo, ha bisogno di essere aiutato. In campo, perché se non si fa movimento e non ha scarichi, la palla la perde pure uno con la sua classe. Fuori dal campo, perché ha bisogno di tirare il fiato e Conte deve inserirlo nel turn over.

In questo potrà essere utile Pogba, che stasera però andrà incontro a qualche bella lavata di capo da parte del mister. Il ragazzo va tenuto coi piedi per terra e, a fronte di qualche giocata da fuoriclasse assoluto, stasera l’ho visto fare qualche gigioneggiata per lui inusuale.

Tevez è un attaccante di grande livello, sa sempre cosa fare col pallone e ama prendersi le responsabilità. Ma il peso della sua autorevolezza mi pare che accentri troppo il gioco. Lo cercano tutti, sempre, anche quando non è necessario o addirittura quando non si dovrebbe.

Non si può tuttavia sottovalutare il colpo di reni dopo due minuti da un colpo che poteva essere da k.o. (l’errore del Chiello è talmente grande da essere ingiudicabile: non si ripeterà mai più). Pareggiare così è segno di forza mentale. Ed è segno che abbiamo un fuoriclasse di caratura internazionale: Arturo Erasmo Vidal Pardo.

lunedì 2 settembre 2013

La forbice s'è allargata. Troppo


Basta leggere il tabellino: le cinque squadre a punteggio pieno hanno segnato in totale 29 gol e subiti 6, di cui 3 solo la Fiorentina. In pratica, Juve, Napoli, Inter, Fiorentina e Roma hanno piazzato uno score di “partita media” di 3-0.

Lo stesso strapotere della Juve che ha schiantato la Lazio con un 8-1 in 15 giorni parla chiaro: il processo di “portoghesizzazione” del calcio italiano è in avanzatissima fase di radicalizzazione, se pure una squadra di vaghe ambizioni come quella romana è costretta a guardare la Juve col binocolo.

Senza mancare di rispetto ai cugini lusitani, un campionato dove vincono solo Porto e Benfica (e quando nevica in agosto, Sporting Lisbona) rappresenta tutto quello che non avremmo mai voluto vedere da noi.

La realtà poi, Calciopoli o meno, ci ha da molti anni smentito, visto che è dal 2001 che vincono solo le squadre a strisce. Tuttavia, il divario con le piccole finora sembrava netto, ma non abissale come in Portogallo. O, facendo un bel di tutta un’erba un fascio, nella penisola iberica, visto come Barça e Real rastrellano tutte le altre.

Dopo le due giornate iniziali, il panorama sotto questo punto di vista mi pare desolante. La qualità di gioco è talmente scadente che il diluvio di gol (43 solo nella seconda giornata) non è sintomo di spettacolo, ma di lacune spaventose. Sorvoliamo sulla prestazione dei portieri (su tutti, il povero Perin, uno dei giocatori sorprendentemente più sopravvalutati della scorsa stagione). Errori così marchiani e a raffica fanno colore (o orrore), ma non statistica.

La tristezza dei fatti risiede nella qualità generale del gioco delle squadre che non hanno 6 punti (sì, pure del Milan, facendo la media ponderata di quello che abbiamo visto a Verona e col Cagliari).

La forbice s’è allargata ancor di più rispetto allo scorso anno. Con 27 vittorie in 38 partite, quella della Juve mi era sembrata una stagione senza storia. Ma questa mi pare promettere pure peggio. Il rischio è che si deciderà nelle due partite col Napoli, sempre che la banda Benitez non perda la trebisonda, con il girone di Champions che succhierà molte più energie a loro che a noi.

Non vorrei essere costretto a rimpiangere l’era del G-14 e dei progetti di campionati d’élite. In quel caso, non so proprio quante italiane verrebbero invitate.

P.S.: Dopo 20 anni ha segnato a Torino un giocatore con la maglia bianconera numero 10 e non si chiama Alessandro Del Piero. Tevez ha già scritto un pezzo di storia.